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Sono ormai noti i prodotti dedicati alla ribelle e avvenente imperatrice d’Austria, passata alla storia per l’insofferenza alla disciplina di corte e alle politiche imperiali, ma anche come uno dei simboli più importanti della monarchia asburgica.
Il corsetto dell’imperatrice, però, fa qualcosa di diverso, dipingendo un personaggio che si discosta non poco dall’immagine edulcorata di Sissi a cui eravamo abituati.
Elisabetta compie 40 anni ed è profondamente infelice, senza far nulla per nasconderlo (dai finti svenimenti durante le parate ufficiali ai progetti suicidi, dai disturbi alimentari ai flirt con stallieri che le riservano le attenzioni che Francesco Giuseppe non le dà più). Elisabetta si sente oppressa nella sua gabbia dorata e percepisce dentro di sé tutta l’ingiustizia del suo tempo contro il genere femminile.
La regista tedesca Marie Kreutzer propone, quindi, una lettura femminista postmoderna, ribaltando l’impianto agiografico del biopic e leggendo il passato alla luce della sensibilità del presente.
La Sissi del Corsetto dell’imperatrice ricorda per molti versi il tormentato personaggio di Diana nello Spencer di Larràin. Una donna infelice e insofferente, ingabbiata dalle infinite limitazioni cui era sottoposta e dalla mancanza di controllo sul proprio destino individuale.
Kreutzer racconta la sua figura a tutto tondo, senza retorica e senza farne una martire: ossessionata dalla bellezza e dal temperamento volubile, egocentrico e narcisista, Sissi è costretta in quel corsetto che si fa simbolo di una società che opprime la vita delle donne.
La regista costruisce una narrazione attuale ed efficace, servendosi del talento di un’attrice di razza come Vicky Krieps (premiata per la miglior interpretazione a Un Certain Regard a Cannes) e regalandoci un controbiopic inquieto, amarissimo e pieno di anacronismi.
Ilaria Berlingeri