Ai Weiwei, straordinario artista cinese, ma anche attivista per i diritti umani e ambasciatore di Amnesty International, porta al Festival del Cinema di Venezia il bellissimo documentario Human Flow, che racconta il più grande esodo umano dai tempi della Seconda Guerra Mondiale.
Weiwei realizza un’opera imponente sulle migrazioni nel pianeta, viaggiando attraverso una quarantina di campi profughi e 23 Paesi, dalla Grecia al Kenya, dall’Afghanistan alla Turchia, dalla Giordania al Libano, dal Bangladesh alla Sicilia. Riempendo il suo film di numeri, notizie, interviste e soprattutto immagini potentissime, l’artista non approfondisce il singolo caso o la singola storia, ma, al contrario, si concentra sulle grandi masse e sul loro movimento, per rendere sullo schermo le reali proporzioni di un fenomeno mondiale (in questo senso, i 140′ di durata sono perfettamente necessari).
Oltre 65 milioni sono le anime che formano il flusso umano del titolo, costrette a lasciare le proprie casse per sfuggire alla guerra, alla tirannia, alla carestia, ai cambiamenti climatici, alle persecuzioni. Weiwei non solo indaga i motivi che causano gli esodi, ma mette in scena, miracolosamente, la migrazione come un fenomeno globale e globalizzato, incessante e ingovernabile con le politiche attuate dai vari Paesi.
L’artista cinese compare spesso in scena, a dimostrazione di una sentita partecipazione emotiva al dramma dei profughi, e spesso ci sottopone il suo punto di vista, che rende, pertanto, il discorso di Human Flow meno universale, ma più personale. D’altronde, la sua è la visione di un artista di fama mondiale che è cresciuto in catene, esiliato e vessato come prigioniero politico assieme alla sua famiglia dissidente.
Human Flow vanta momenti di puro cinema: Weiwei alterna il registro più schiettamente documentaristico, attraverso racconti, interviste e testimonianze di esperti e rifugiati, con quello più squisitamente artistico, indugiando sulle immagini, sulla loro bellezza e sulla loro capacità di emozionare lo spettatore. Così, la dimensione artistica e quella politico-umanistica trovano un loro ammirevole e fascinoso equilibrio: indimenticabili sono, infatti, le immagini aeree catturate dai droni o le ricercate composizioni naturalistiche, che mai indeboliscono la descrizione della drammatica vita dei migranti, soprattutto di quelli bloccati nei campi profughi.
Human Flow racconta una crisi che riguarda non soltanto l’impressionante numero di rifugiati che non sanno dove andare, ma anche la nostra tentazione di girarci dall’altra parte, in un periodo storico che invece richiederebbe il comportamento opposto. Ecco allora che il regista mette l’accento sulla mancanza di umana accoglienza di un mondo che erige barriere, non mostrando l’impatto degli esodi sui Paesi di arrivo, ma ribadendo, piuttosto, la migrazione come diritto umano.
Weiwei ci chiede di non abbandonare l’empatia che ci rende umani, di non dimenticare quei principi di dignità, libertà, eguaglianza e solidarietà, che dovrebbero essere alla base di ogni popolo e Paese. Il suo è un invito profondo alla condivisione, alla compassione, alla comprensione, alla tolleranza. E Human Flow , mai come oggi, è un film dirompente ed estremamente necessario. Al cinema in un’uscita evento dal 2 al 5 ottobre.
Alberto Leali