Al cinema dal 27 febbraio con Eagle Pictures, è un’opera che esplora la religione attraverso il terrore psicologico
Diretto da Scott Beck e Bryan Woods e prodotto dalla infallibile A24, “Heretic” si distingue come un’opera che va oltre i confini tradizionali dell’horror, proponendo una riflessione profonda sul senso della religione e della fede. Non è un film che si accontenta di spaventare; piuttosto, invita lo spettatore a un viaggio mentale complesso, mettendo in discussione credenze radicate e stimolando un dibattito filosofico che, pur avvolto nell’atmosfera claustrofobica e inquietante, diventa il cuore pulsante della pellicola.
La trama ruota attorno a due missionarie mormoni, Sorella Paxton (Chloe East) e Sorella Barnes (Sophie Thatcher), che, dopo innumerevoli porte sbattute in faccia e rifiuti, si sentono finalmente sollevate quando arrivano alla villa isolata di Reed (uno straordinario Hugh Grant), un uomo che si rivela cortese e accogliente. Invitate a entrare per presentare il loro credo davanti a una fetta di torta ai frutti rossi, le due ragazze accettano, rassicurate dal fatto che anche la moglie di Reed sarebbe presente. Tuttavia, quando Sorella Barnes si accorge che il profumo di dolci proviene da una candela e che la moglie di Reed non esiste, le due ragazze capiscono di essere state ingannate. Il loro incubo inizia quando Reed, con un sorriso inquietante, rivela che l’unico modo per uscire dalla villa è scegliere tra due porte, e solo una conduce alla libertà. Da lì, un susseguirsi di dissertazioni religiose e crudeltà indicibili segna l’inizio di un’esperienza terrificante.
Inizialmente, la pellicola potrebbe sembrare un horror tradizionale, con la tipica ambientazione di una casa sperduta e la tensione che cresce man mano che i segreti si svelano. Tuttavia, è presto chiaro che “Heretic” è molto più di un semplice gioco di suspense. La vera forza del film risiede nei suoi dialoghi e nel modo in cui affronta temi complessi come le religioni e la religiosità. Questi non sono trattati solo come espedienti narrativi, ma come questioni profonde, analizzate sotto ogni angolazione. La capacità di “Heretic” di intrecciare riflessioni teologiche e filosofiche con la tensione crescente è ciò che lo rende veramente unico.
Il film non esita a mettere in discussione il ruolo delle religioni nel mondo moderno, creando un parallelismo tra la religiosità e la manipolazione mentale. Reed diventa il simbolo di quel carisma che può facilmente piegare le menti più vulnerabili, un tema che si riflette in maniera inquietante anche nel contesto sociale più ampio. In questo senso, “Heretic” non è solo un film che esplora la paura fisica, ma anche quella intellettuale, spingendo lo spettatore a riflettere su come le ideologie possano influenzare e plasmare le nostre vite.
Tuttavia, nonostante la forza concettuale della pellicola, il film non riesce a mantenere la stessa coerenza per tutta la sua durata. La parte finale, infatti, sembra cambiare tonalità, virando verso un horror più tradizionale e un po’ più splatter, che, pur non rovinando l’esperienza complessiva, segna una certa discontinuità rispetto alla costruzione psicologica della prima parte. Questa svolta narrativa, purtroppo, fa perdere un po’ di forza all’intreccio filosofico e riflessivo che aveva caratterizzato la pellicola fino a quel momento.
La performance di Hugh Grant rappresenta uno degli elementi più forti del film. Il suo personaggio, Reed, è al contempo affascinante e minaccioso, e l’attore riesce a infondere al ruolo una profondità rara. Grant offre una performance che trasforma Reed in un vero e proprio “one man show” nelle prime fasi della pellicola, padroneggiando ogni scena con una persuasività sottile ma potente. Il suo mix di intensità e cinismo arricchisce il personaggio, conferendo alla storia una carica emotiva che amplifica l’intera esperienza cinematografica.
Anche Chloe East e Sophie Thatcher, che interpretano le prigioniere, offrono performance convincenti, pur dovendo confrontarsi con ruoli più limitati, ma che si distinguono comunque per espressività e caratterizzazione. Sebbene non abbiano la stessa centralità di Reed, riescono a rendere credibili e coinvolgenti i propri personaggi, offrendo uno spunto interessante su come l’individuo reagisca di fronte alla manipolazione e al controllo mentale.
In definitiva, “Heretic” è una piacevole sorpresa nel panorama del cinema contemporaneo, capace di unire riflessione intellettuale e paura, senza mai rinunciare a una narrazione avvincente e coinvolgente. La sua ambizione di trattare temi complessi lo rende un’opera che merita attenzione, seppur con le sue imperfezioni.
Ilaria Berlingeri