Al cinema dal 9 gennaio con 01 Distribution
Gianni Amelio sceglie di raccontare gli ultimi giorni di vita di un ex leader, un politico su cui da decenni è caduto un brutale silenzio. Si tratta di Bettino Craxi, figura controversa della nostra Storia, Presidente del Consiglio dei ministri dal 1983 al 1987 e Segretario del Partito Socialista Italiano dal ’76 al ’93.
Coinvolto nelle inchieste di Mani pulite e condannato definitivamente per corruzione e finanziamento illecito al Partito Socialista Italiano, Craxi morì mentre erano in corso altri quattro processi contro di lui ad Hammamet, in Tunisia, dove si rifugiò.
Apprezzato da alcuni come precursore della modernizzazione del Paese e della politica italiana, detestato da altri per le condanne riportate a seguito delle indagini di Tangentopoli e per la sua decisione di abbandonare l’Italia, Craxi rivive nel film grazie alla straordinaria prova di Pierfrancesco Favino, che si conferma, a tutti gli effetti, il migliore attore del nostro attuale cinema. A sorprendere non è solo la metamorfosi fisica (voce, postura, mimica), ma la capacità di andare ben oltre la maschera, facendo emergere tutte le contrapposte pulsioni del personaggio: orgoglio, arroganza, ostinazione, schiettezza, senso dello Stato.
Ma attenzione, quello di Gianni Amelio non vuole affatto essere un film politico, ma il racconto della lunga agonia di un uomo che ha perso il potere e si dirige, consciamente, verso la morte. In tal senso, Amelio pone domande ma non offre risposte, concentrando il film sul Craxi uomo: quello della fine del secolo scorso, al riparo in un eremo fra gli ulivi mentre coltiva i suoi rancori, la sua rabbia e i suoi dolori. Un uomo lacerato, malato e sofferente, che sceglie lucidamente di andare incontro all’autodistruzione.
Ma sarebbe un errore definire Hammamet (solo) un film su Craxi, perché l’ultima fatica di Amelio è molto di più: basti vedere l’attenzione riservata alla figura della figlia del politico (Livia Rossi) e al rapporto, bellissimo e dolente, che c’è tra lei e suo padre. O alla scelta di affiancare al protagonista un “antagonista” immaginario, il giovane figlio di un compagno di partito suicidatosi per la vergogna (Luca Filippi), che instaura con lui un ambiguo rapporto di vendetta/fiducia, in cerca delle risposte che non ha mai ricevuto da suo padre.
Ovviamente, come accade nelle opere che raccontano la fine di un personaggio, anche in Hammamet il passato ritorna, imponendosi in un finale onirico e simbolico di grande potenza. Ma è l’intero film a colpire al cuore, citando un’altra opera massima di Amelio, frutto della grande sensibilità di uno degli ultimi grandi autori viventi del nostro cinema.
Alberto Leali