Vincitore del Premio Speciale della Giuria, arriva al cinema dal 6 ottobre con Academy Two
Ideato e realizzato pochi mesi prima del suo ultimo arresto e imprigionamento come dissidente, Gli orsi non esistono è l’ennesimo e pregevole esempio di cinema resistente di Jafar Panahi.
Il film propone nuovamente come protagonista il cineasta iraniano, alle prese con un film da realizzare a distanza, precisamente in Turchia, agendo in remoto tramite collegamenti via Zoom o Skype. Cosi, da una piccola casa in un paesino rurale a pochi chilometri dalla città e dal confine, Panahi dirige la sua troupe per raccontare la storia di una coppia di innamorati che tenta di fuggire dall’Iran. Allo stesso tempo, un’ipotetica fotografia scattata dal regista nel villaggio diventa la prova di un amore clandestino. Panahi segue da vicino queste due storie d’amore e, in entrambi i casi, è lui che tiene le fila dei rapporti.
Ancora una volta metacinema, che riflette però sul ruolo del cinema stesso, inteso come frutto di un’attività umana che deve scontrarsi con i limiti imposti dal contingente. Panahi si chiede se il cinema sia ancora possibile, pur nei modi e con i mezzi che la sua condizione di perseguitato gli consente, e se possano ancora conservarsi margini di espressione.
Gli orsi non esistono diventa così una celebrazione dell’arte cinematografica, in cui cineprese, hard disk, video amatoriali, montaggi meta-narrativi e sequenze notturne rimandano al lavoro della macchina-cinema in ogni sua fase. I commenti tecnici, il lavoro con gli attori, la volontà di catturare la vita del villaggio sono tutti elementi che dimostrano l’amore sconfinato di Panahi per la settima arte.
Lui, regista demiurgo che muove l’azione sul set-verità di Teheran e nelle dinamiche del villaggio. Lui, che mentre tutti si muovono inquieti cercando la fuga, l’amore, la felicità e la vendetta, osserva, riprende, riflette, suggerisce.
Così il suo cinema, inevitabilmente politico e critico nei confronti del regime iraniano, manifesta la stanchezza e la rabbia del cineasta per un Paese che ama, ma che per la prima volta pensa di lasciare.
La scrittura del film è complessa e in continua evoluzione e si apprezza per l’abilissimo gioco narrativo: la mescolanza di cinematografico e meta-cinematografico e il parallelismo delle due storie d’amore.
E alla fine, il confine veramente interessante è quello, molto labile, tra finzione e realtà, da sempre un must della filmografia dell’autore. Testimoniando, ancora una volta, che il cinema può essere un mezzo efficace per raccontare la realtà attraverso la finzione.
Una pellicola che dimostra come il talento e la creatività del più grande autore del cinema iraniano abbiano ancora una volta saputo trasformare le difficoltà e i pericoli in un’ottima prova di cinema.
Paola Canali