Al cinema dal 14 novembre con Warner Bros. Pictures
Justin Kemp (Nicholas Hoult) presta servizio come giurato durante un importante processo per omicidio. Nel corso dell’udienza, però, si rende conto che probabilmente è stato lui a uccidere la vittima, investita da un’auto in corsa in un giorno di pioggia. L’uomo si troverà, così, alle prese con uno sconvolgente dilemma morale, ma, non intenzionato a dire la verità, cercherà in ogni modo di salvare l’imputato.
Con Giurato numero 2, Clint Eastwood, dall’alto dei suoi quasi 95 anni, ci regala un film grande, solido e vecchia scuola.
Lo schema è quello “classico” del dramma processuale: con un montaggio alternato tra le argomentazioni dell’accusa e quelle della difesa, Eastwood stabilisce subito un parallelo tra le due versioni della storia, intersecandole ai flashback di Justin, che si ritrova, poco a poco, in quella stessa notte di pioggia. Così, quando la giuria si riunisce e sembra che tutto si possa risolvere nel giro di pochi minuti con un verdetto di colpevolezza, è proprio lui ad insinuare il dubbio.
Giurato numero 2 è un film molto ben scritto, in grado di riflettere con maestria ed equilibrio sui concetti di “giustizia” e “verità”, laddove la prima, in particolare, si mostra fragilissima e spesso ingiusta (da qui il soffermarsi spesso su una statua bendata che regge una bilancia, il cui equilibrio sembra poter cambiare al minimo colpo di vento).
Due ore che scorrono tese e velocissime, per un’opera che pone significativi interrogativi sulle modalità attraverso le quali si è convinti di arrivare a stabilire chi è colpevole e chi innocente e sulla debolezza dell’umano giudizio di fronte ad eventi che non è dato poter chiarire.
Il saggio Clint riesce, così, a raccontarci, ancora una volta, una storia emblematica di come il mondo sia iniquo e la giustizia terrena si riveli un gioco teorico risolto in modo posticcio e con lacune difficili da colmare.
Pensieri e riflessioni che piace pensare possano fare parte del pensiero di un uomo giunto lucidissimo ad un traguardo di vita in cui certi tipi di bilanci e considerazioni appaiono plausibili e doverosi.
Nel cast, composito e di livello, le interpretazioni dei due protagonisti-antagonisti, ovvero il giurato numero 2 Nicholas Hoult e l’avvocata d’accusa Toni Collette, riescono ad esprimere, nei rispettivi sguardi, da una parte l’amarezza e il senso di colpa di riconoscersi nel responsabile di una tragica fatalità che sta facendo incolpare un innocente, dall’altra la consapevolezza che la legge non può contare su un sistema in grado di fare venire sempre a galla le verità controverse che il caso bizzarro e beffardo ha celato in modo quasi diabolico.
Ilaria Berlingeri