Presentata fuori concorso a Venezia 74, Happy Winter, l’applaudita opera prima di Giovanni Totaro, ambientata sulla spiaggia di Mondello, arriva nelle sale italiane dal 14 al 16 maggio con I Wonder Stories. Di seguito la nostra intervista al giovane autore palermitano
Presentata fuori concorso a Venezia 74, Happy Winter, l’applaudita opera prima del regista Giovanni Totaro, racconta la crisi italiana degli ultimi anni vista dalle famiglie che trascorrono la stagione estiva sulla spiaggia di Mondello a Palermo.
Happy Winter eleva il microcosmo che racconta a metafora attualissima di un intero Paese, concependo quello che il regista definisce come il primo docu-panettone del cinema italiano.
Totaro mette in scena personaggi che, celandosi dietro il ricordo di uno status sociale che non è più lo stesso, fanno finta che la crisi non esista, restando convinti che una cabina in riva al mare garantisca un posto in prima fila nella fiera della vanità estiva. Troviamo, quindi, l’aspirante consigliere comunale alla ricerca di voti; il barista ambulante che si spacca la schiena per guadagnare il più possibile in vista dell’inverno, le signore ossessionate della tintarella, la famiglia che si indebita per fare le vacanze al mare…
Il progetto nasce dall’idea di un corto presentato come saggio finale al Centro Sperimentale di Cinematografia, divenuto in seguito un film. Numerosi i riconoscimenti conquistati da Happy Winter: premio IDS MIA, premio per lo sviluppo MiSE 2016, Cuban Hat a Hot Docs Forum, premio Atelier al Milano film Network nel 2016.
Happy Winter arriva nei cinema italiani con I Wonder Stories in un’uscita evento di 3 giorni, dal 14 al 16 maggio. Il film è una produzione Indyca con Rai Cinema in co-produzione con Zenit Arti Audiovisive, in associazione con Inthelfilm e Onirica.
Zerkalo spettacolo ha incontrato Giovanni Totaro a Venezia in occasione della presentazione del film.
ZS: Da dove nasce l’idea di raccontare la storia delle capanne sulla spiaggia di Mondello?
GT: La mia idea ha una data ben precisa: il 2014! Era l’anno in cui le capanne sulla spiaggia di Mondello erano state appena costruite, ma, allo stesso tempo, già si pensava ad uno smantellamento. Allorché mi sono chiesto: ‘Come? Tutto questo deve sparire proprio adesso?’. Sono andato in spiaggia e ho iniziato a riprendere le fasi di montaggio delle strutture, che apparivano come delle casette di carta. Ho raccolto un bel materiale, tanto da divenire tesi del mio diploma al Centro Sperimentale. Successivamente, ho sentito l’esigenza di farne un film. Ancora oggi, lo smantellamento non è stato effettuato, si parla del 2020. Ma almeno mi hanno permesso di fare il film!
ZS: Una curiosità: Come mai un regista palermitano sceglie per il suo film un titolo inglese?
GT: In verità, il titolo del film nasce in italiano, “Buon Inverno”, che è la frase finale che i protagonisti si augurano dopo aver trascorso tre mesi a mare nelle capanne. Il motivo della scelta di tradurre il titolo in lingua inglese è stato determinato dopo che una produzione all’Internazionale ci ha notato. Faceva più effetto! Però rispetto al film, il titolo rimane fedele alla sceneggiatura e al messaggio di cui sono portatore, senza nessuna alterazione.
ZS: C’è qualcuno che ha paragonato il tuo film aCasotto di Sergio Citti. Che ne pensi?
GT: No, assolutamente. Nel cinema ci sono moltissimi film che raccontano le vacanze di massa. Mi ha ispirato piuttosto il film “Pranzo di ferragosto” di Gianni Di Gregorio, sia per la presenza di attori non professionisti, che per la scelta del racconto indiretto.
ZS: Nel tuo film ci mostri le bruttezze della tua Palermo. Come mai?
GT: (ride) In questo film, mi sono focalizzato sul racconto estivo della spiaggia di Mondello. Purtroppo trovo Palermo in preda a una crisi di identità, sempre più disperata. È difficile dire cosa cambiare, perché si tratta di un processo lento, ci sono troppe cose che non vanno. Anzi, ora che ci penso, la prima cosa che cambierei è la classe dirigente. Basti pensare a quante volte abbiamo cambiato sindaco… bisognerebbe porsi delle domande!
ZS: Secondo te, perché questa crisi di identità?
GT: Perché c’è un fraintendimento della modernità. Si pensa che il modello nuovo sia il futuro, ma non è così. Modelli che dovrebbero essere punti di forza e riferimento si perdono per strada, perché vengono colti senza nessun contesto.
ZS: Potremmo definirla una sorta di progresso – regresso?
GT: Proprio così! È la scelta del posto che determina tutto. Nel 2020 tutto questo sarà smantellato perché considerato ormai una cosa sorpassata e sarà sotituito da attrezzature che non consentiranno più alle famiglie di poter passare l’intera stagione estiva nelle capanne, creando un incattivimento generale. Rimarrà solo un ricordo di ciò che era la nostra identità e lo si guarderà attraverso le foto. Materiale di repertorio, l’emblema di un tempo.
ZS: Quanto ti sente soddisfatto del tuo lavoro?
GT: Tanto soddisfatto. L’ho ribattezzato un docu-panettone, perché possiede tutti gli ingredienti che possono essere, spero, accettati dal pubblico. Faccio notare il peso di due classi differenti: la classe politica e Antonio, un lavoratore. Entrambi viaggiano su due binari differenti: il politico che somiglia al contatore di cassa e il lavoratore che vive il territorio. Questo è il gape del film.
Roberto Puntato