“Make hummus not war”: il linguaggio universale della cucina che può abbattere le barriere, anche tra Palestina e Israele. Per la prima volta in 40 anni la copertina del Gambero Rosso non è dedicata al Natale
Anche per merito delle sue grandi proprietà nutrizionali, che offrono un alto contenuto di vitamine e proteine, l’hummus è la preparazione mediorientale che, più di altre, è riuscita a valicare i confini e raggiungere l’Occidente.
Grande il successo che ha riscosso negli ultimi decenni con vendite che nel 2020 hanno raggiunto i 2,62 miliardi di dollari e previsioni di crescita fino al 2028 di 6,60 miliardi, secondo i dati del Market Research Report 2021.
Ed è a questo grande protagonista della cultura gastronomica popolare – entrato a gran voce nelle nostre case e negli scaffali dei supermercati – che Gambero Rosso dedica la copertina di dicembre, in edicola da oggi, prendendo in prestito una delle frasi più presenti sui muri di Tel Aviv e Betlemme, ‘fate l’hummus non la guerra’, “per ricordare – come scrive nel suo editoriale Marco Mensurati, direttore del Gambero Rosso,– una volta in più a noi stessi che la materia di cui ci occupiamo abitualmente, il cibo e il vino, è prima di tutto un incredibile e potentissimo strumento di comunicazione capace di mettere in connessione persone, generazioni, popoli”.
La nuova copertina è una vera rivoluzione per il giornale icona dell’enogastronomia italiana, che storicamente ha dedicato al Natale il numero di dicembre in modo più tradizionale, con classifiche di panettoni, pandori e bollicine per accompagnare al meglio le feste.
Ed è così che protagonista da prima pagina diventa quel piatto di cui palestinesi e israeliani si contendono l’origine, a base di ceci, tahina di sesamo e aglio, capace di trasformarsi nel simbolo del conflitto politico o, finalmente, in un collante capace di colmare i divari culturali tra Libano, Palestina, Siria, Giordania, Israele, Egitto, spingendosi fino a Turchia e Grecia.
La cucina ha la straordinaria capacità di unire, anche in tempo di conflitto, e far superare le disuguaglianze tra i popoli: lo dimostra la bellissima storia di amicizia tra lo chef palestinese Sami Tamimi e il suo collega israeliano Yotam Ottolenghi. La loro ricetta dell’hummus simboleggia la possibilità di un punto di incontro anche tra due popoli così apertamente in conflitto. Racconta Tamimi al Gambero “attraverso il cibo, gli individui possono intraprendere conversazioni significative, abbattendo barriere e trovando punti in comune, anche in situazioni difficili”. Anche se, prosegue, “Quando gli israeliani affermano che l’hummus è un loro piatto, dobbiamo porci la domanda su come una nazione che esiste solo da 75 anni possa effettivamente rivendicare un piatto che è stato preparato e consumato per centinaia di anni da molti paesi del Medioriente”.
E tuttavia la sua esperienza con Ottolenghi restituisce fiducia e speranza su come la cucina, anche attraverso ricette popolari come l’hummus, possa aiutare a trasformarsi nella più potente arma unificante – e mai divisiva – a disposizione di ognuno.