Dopo aver conquistato l’Academy, il capolavoro del lettone Gints Zilbalodis torna al cinema da questo weekend in oltre 150 sale con Teodora
Gints Zilbalodis, il regista lettone che aveva già impressionato con il suo debutto Away nel 2019, compie un ulteriore salto evolutivo con Flow – Un mondo da salvare. Questa volta, l’autore non è solo. In coproduzione con la Francia, Zilbalodis si avvale di mezzi più ampi e di un sostegno economico che, però, non intacca la sua poetica. Al contrario, arricchisce la sua capacità di raccontare storie affascinanti e originali, senza perdere il suo caratteristico sguardo solitario e meditativo.
Flow, come il suo predecessore, non ha dialoghi. Ma ciò che colpisce è il modo in cui l’animazione digitale viene utilizzata non solo come strumento tecnico, ma anche come un linguaggio visivo in grado di costruire un’atmosfera unica e magnetica. Non siamo di fronte a un’opera che si affida a modelli di animazione tradizionali, ma a un racconto in cui la CGI diventa parte integrante della poesia del film stesso. Il mondo che Zilbalodis ci presenta è silenzioso, misterioso, quasi astratto, dove il viaggio dei protagonisti diventa un’odissea emotiva e visiva. La grande novità di Flow rispetto a Away è l’uso mirato di piani sequenza eleganti che non solo arricchiscono l’esperienza visiva ma le conferiscono un dinamismo straordinario.
Nel film, un gruppo eterogeneo di animali – tra cui un gatto, un cane, un capibara e una gru – si muove in un paesaggio desolato, cercando di sopravvivere a un mondo che sembra essere sull’orlo del collasso. L’animale più presente, il gatto nero, diventa il punto di vista privilegiato attraverso il quale il pubblico esplora l’universo creato da Zilbalodis. Qui, l’antropomorfizzazione è evitata, e ciascun animale mantiene le caratteristiche proprie della sua specie, conferendo un senso di realismo anche in un contesto che sembra appartenere a un futuro distante. Non c’è nessun intento moralistico, ma piuttosto un affascinante senso di smarrimento, solitudine e speranza.
Il film, pur ispirato alla tradizione di animazione d’autore, riesce a smarcarsi dall’influenza di grandi studi come lo Studio Ghibli, pur riconoscendo la bellezza estetica delle loro opere. La cifra distintiva di Flow è il modo in cui Zilbalodis riesce a trasformare la sua tecnica in un’esperienza sensoriale che va oltre la semplice bellezza visiva. L’assenza di dialoghi e l’ambientazione post-apocalittica sollecitano riflessioni più profonde sulla condizione umana, sul nostro rapporto con la natura e su cosa rimane quando la parola e la civiltà sono ormai svanite.
Flow è un film che sfida le convenzioni. Con una storia minimalista e una narrazione visiva che si sviluppa in modo fluido e continuo, il regista non cerca di dare risposte facili. Al contrario, Flow si inserisce in quella tradizione di cinema che invita lo spettatore a riflettere sul significato profondo di ciò che vede. Ogni scena è un piccolo enigma, un viaggio in cui la bellezza e l’emozione si mescolano senza mai cadere nel melodramma. Zilbalodis riesce a creare un mondo che, pur essendo disabitato e silenzioso, è pieno di vita.
La tecnica utilizzata in Flow è esemplare. L’animazione non solo esplora nuovi orizzonti stilistici, ma lo fa con la consapevolezza che il significato profondo di un’opera d’arte non risiede solo nella perfezione tecnica, ma nella sua capacità di emozionare e far riflettere. La grafica, sebbene ancora chiaramente digitale, riesce a trasmettere una sensazione di realismo che affascina e afferra l’attenzione, creando un legame tra l’arte e la realtà.
Con Flow, Gints Zilbalodis compie un passo notevole nel panorama dell’animazione contemporanea, arricchendo la sua poetica con un’ulteriore dimensione. Dopo l’Oscar, il film ritorna sul grande schermo con il suo tocco unico e sensibile, per continuare a incantare e a stimolare il pubblico. Un’opera da vedere, da vivere, e da meditare.
Paola Canali