Al cinema dal 14 febbraio con 01 Distribution
Saverio Costanzo realizza un kolossal sul lato oscuro degli anni Cinquanta, indagando le retrovie del mondo del cinema (la Hollywood sul Tevere nel suo massimo fulgore) e ispirandosi a uno “scandaloso” fatto di cronaca.
Perché Finalmente l’alba è soprattutto un seducente e angosciante viaggio iniziatico, che conduce una giovane e candida ragazza della Roma popolare, assunta come comparsa da una produzione hollywoodiana, nei gironi danteschi delle notti capitoline. Una parabola, quella di Mimosa, che incontra e si ricollega alla tragica storia di Wilma Montesi, l’aspirante attrice ritrovata morta sul lido di Capocotta: episodio truce e misterioso, che mise in luce i pericoli e gli inganni del mondo del cinema.
Ma torniamo agli anni Cinquanta, l’epoca d’oro di Cinecittà, capace di ospitare grandi produzioni americane in trasferta: Costanzo li trasforma nello sfondo perfetto di una storia di formazione che si svolge tutta in una notte e che farà incontrare Mimosa (la bravissima Rebecca Antonaci) e una stella del cinema (Lily James con look alla Rita Hayworth) che sta girando un kolossal ambientato nell’antico Egitto.
L’innocenza e la genuinità di Mimosa si contrappongono allo squallore morale di un ambiente in cui la giovane viene catapultata per caso dalla nota attrice. Un mondo popolato da bestie ferite, vanesie e insicure, alla disperata ricerca di visibilità. Mimosa, così sfacciatamente distante da loro, diventerà non a caso l’oggetto più desiderato della serata, trovandosi ad affrontare sguardi e attenzioni morbose e sempre più pressanti, proprio nella villa che pochi giorni prima aveva visto la morte della Montesi.
Tra omaggi e citazioni ai grandi del cinema (Visconti, Fellini, Scorsese in primis, ma anche Chazelle e Tarantino), Finalmente l’alba è un film ricco e disomogeneo, affascinante e respingente, sontuoso e ondivago. Mescola, in un unico ed enorme calderone, cinema nel cinema, finzione e realtà (la “reinvenzione” di Alida Valli e Attilio Piccioni), cronaca, coming of age, film seminali della storia della settima arte. Tante, forse troppe, sono le idee e le suggestioni che Costanzo infonde al suo film e il risultato è che lo spettatore ne resta smarrito e stordito, proprio come accade a Mimosa durante la notte in cui perderà l’innocenza.
Oltre alla splendida messa in scena, dove il film si rivela più riuscito è nelle atmosfere torbide, sospese ed alienanti che si fanno metafora dello stato emotivo della protagonista, mentre osserva la caducità di quell’universo così diverso dal suo, provando a decifrarlo.
Non convince, invece, nel finale posticcio, nei parallelismi ridondanti e fin troppo ostentati (la leonessa in gabbia a Cinecittà) o quando gli intenti programmatici prendono il sopravvento.
Ilaria Berlingeri