Presentato il 14 luglio alla stampa presso l’Accademia d’Egitto di Roma il vincitore del Gran Premio della Giuria al Festival di Berlino 2017, Félicité di Alain Gomis. Il film è distribuito in Italia dalla coraggiosa KitchenFilm e sarà in sala dal 31 agosto. Félicité ha inoltre inaugurato il ROMAFRICA FILM FESTIVAL-RAFF, la preziosa rassegna del cinema africano che si tiene alla Casa del Cinema di Roma, giunta alla sua terza edizione con un programma ancora una volta di pregevole qualità (per info visitate il sito www.romafricafilmfest.com).
Il film narra la storia di Félicité, una donna orgogliosa e indipendente, che si mantiene cantando in un locale a Kinshasa. La sua vita viene sconvolta, però, quando suo figlio quattordicenne rimane vittima di un incidente in moto e rischia di perdere una gamba se la donna non trova i soldi necessari all’operazione. Félicité inizia, così, la sua difficile ricerca in una città in cui regnano la povertà e la disperazione, potendo contare unicamente sull’aiuto del suo corteggiatore Tabu.
Una donna che lotta per cambiare lo stato delle cose, ma che non può essere del tutto padrona del proprio destino dovendo fare i conti con un Paese in cui dominano miseria ed ingiustizia. È questa Félicité, a cui è permesso di poter essere completamente libera solo nei sogni, in cui sembra ritrovare energia in una natura notturna, amica e partecipe, che si contrappone allo scorrere caotico ed incessante del quotidiano
Il film si regge principalmente sulla presenza ed il carisma della sua protagonista, l’esordiente Véro Tshanda Beya, quasi una Mamma Roma africana che affronta la vita a testa alta e che non accetta, nonostante tutto, di prostrarsi alla rassegnazione. Una donna che è sempre riuscita a resistere al mondo, ma che dopo la caduta, inarrestabile e bruciante, deve con fatica ritornare alla vita. E ci riesce aprendosi all’altro, all’amore, al sorriso, alla speranza.
Il franco-senegalese Alain Gomis, al suo quarto lungometraggio, non cede a un manierato e prevedibile neorealismo o agli stilemi alla Dardenne, ma punta a una regia e a una scrittura ambiziose, che abbandonano la narrazione tradizionale per procedere per suggestioni, divagazioni malickiane, squarci onirico-simbolici e frequenti intermezzi musicali. Ne deriva un film raffinato, personale e stratificato, permeato dai silenzi ma anche dalla musica (Kasai Allstars, Arvo Pärt, eseguiti dall’Orchestra Sinfonica di Kinshasa), che incarna con efficacia la complessità contaminata della città africana. Un film nettamente diviso in due parti: una prima, bellissima e semidocumentatisica, che esplora, attraverso il vagare instancabile di Félicité, le periferie di Kinshasa e le sue contraddizioni, e una seconda, più ondivaga, libera e spiazzante, tutta puntata sull’interiorità della protagonista e sul suo tentativo di affrancarsi dall’apatia, dalla disperazione e dall’autodissoluzione.
La macchina da presa segue da vicino i personaggi tramite espressivi e suggestivi primi piani, ma si abbandona anche a concitate scene di gruppo, dominate dal canto e dalla danza.
Un film imperdibile, che ha entusiasmato il Festival di Berlino e che non mancherà di emozionare tutti gli amanti della settima arte.
‘Félicité è il primo film che faccio – afferma l’attrice Véro Tshanda Beya in conferenza stampa- Ho fatto studi commerciali, finanziari, di parrucchiera… e sono una cantante più che un’attrice. Un amico mi ha proposto di partecipare al casting perché il regista Alain Gomis non trovava l’attrice giusta. Io l’ho fatto sei volte e alla fine Alain ha capitolato perché diceva che più che il personaggio avevo la carica interiore che lui cercava. Vorrei continuare a fare l’attrice, faccio tutt’ora tanti casting. Mi piacerebbe che questa fosse la mia strada definitiva. Quella del film è purtroppo una storia che viviamo in Congo quotidianamente. Il nostro sistema funziona così. I premi sono importanti, ma ciò che vale di più è il desiderio che passi il messaggio del film‘.
Patrizio Carnevale, Ostetrico-operatore umanitario di Medici Senza Frontiere Italia afferma: ‘Medici Senza Frontiere ha molti progetti in Congo, specie nella zona di Kivu, molto ricca di risorse, ma problematica per la popolazione che necessita di cure sanitarie, perché deve raggiungere le località vicine, che richiedono spesso giorni e giorni di viaggio. Proibitivo è infatti il raggiungimento dei luoghi con i mezzi di trasporto. La struttura sanitaria locale è divisa in province e la situazione di ognuna è spesso di grande difficoltà. L’accesso alle cure è purtroppo per pochi, ma il nostro intervento cerca di colmare lacune difficili da superare. Cerchiamo di entrare in punta di piedi in una cultura molto diversa dalla nostra e di sostenere in tutti i modi il sistema sanitario locale per lasciare una eredità importante al personale del luogo e al sistema del Congo. Difficile è riuscire a trovare la chiave per far comprendere alla gente la situazione in cui versano queste popolazioni’. E a proposito del personaggio di Félicité afferma: ‘Le donne congolesi sono coraggiose e incredibili: per loro nutro una profonda ammirazione. Rappresentano tanto nella società congolese e Félicité rispecchia tutte loro con il suo orgoglio e la sua determinazione‘.
‘Ho sempre pensato che sono le cose a scegliere me e non io loro – afferma la distributrice della KitchenFilm Emanuela Piovano – quasi come una vocazione o una chiamata. Per Félicité è stata la prima volta che ho visto un film da me distribuito in anteprima. Ne sono rimasta profondamente colpita. Ho saputo solo in seguito che avrebbe partecipato a Berlino e ancora successivamente che aveva vinto il Premio della giuria. Me lo hanno affidato per distribuirlo, perché è un po’ come se lo avessi scoperto io. Oggi si crea quasi un secondo mercato distributivo, molto ricco di offerta, ma con operatori molto cristallizzati e legati a sistemi distributivi che nn li soddisfano. C’è però aria di grande rinnovamento e specie quest’anno l’ho sentito molto’. In riferimento al regista di Félicité ha inoltre affermato: ‘Anche Alain Gomis è rimasto molto attratto dal Congo, pur non essendo di radici congolesi, ma un europeo che si definisce meticcio. È la prima volta peraltro che mette al centro di un suo lavoro un personaggio femminile. Il suo non è cinema verità, non ci sono scene rubate. Anzi, ci sono firme importanti del mondo del cinema, che hanno girato le parti documentaristiche e lo stile registico è molto innovativo e raffinato’.
Alberto Leali