Il sogno irrealizzato di Riccardo Schicchi e un’epoca di rivoluzione culturale mancata nel film pop di Giulia Louise Steigerwalt. Al cinema dal 6 febbraio distribuito da PiperFilm
Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2024 e ora nelle sale, Diva Futura di Giulia Louise Steigerwalt è un viaggio nel mondo dell’intrattenimento per adulti italiano tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’90. Un’epoca in cui il porno guadagnò una sorprendente visibilità nel mainstream, dando vita al fenomeno delle pornostar e rivoluzionando, almeno in superficie, i costumi di un’Italia in pieno cambiamento.
La storia ruota attorno alla figura di Riccardo Schicchi, il visionario fondatore dell’agenzia Diva Futura, interpretato da un convincente Pietro Castellitto. Accanto a lui, le icone che hanno segnato quell’era: Ilona Staller/Cicciolina (Lidija Kordic), Moana Pozzi (Denise Capezza), Eva Henger (Tesa Litvan) e la meno nota ma fondamentale Debora Attanasio, segretaria e aspirante giornalista, interpretata da Barbara Ronchi. Attraverso il suo sguardo esterno, il film rievoca un’epoca in bilico tra provocazione e ipocrisia, scandita da spettacoli televisivi e trasgressione edulcorata.
La regia di Steigerwalt si inserisce perfettamente nella scia delle produzioni Groenlandia, con un linguaggio cinematografico che richiama Mixed by Erry, L’Incredibile Storia dell’Isola delle Rose e Smetto Quando Voglio. Il tono è vivace, ironico, leggero, con un montaggio rapido e una colonna sonora pop che immerge lo spettatore nell’atmosfera di quegli anni. Un approccio che smorza gli aspetti più controversi della vicenda, trasformandola in una storia di sogni, illusioni e successi effimeri.
La narrazione evita una struttura cronologica rigida, saltando avanti e indietro nel tempo per raccontare l’ascesa e il declino di un mondo che ha cercato di legittimarsi senza riuscirci del tutto. Il film non è un biopic di Schicchi, ma è impossibile negare che il suo personaggio sia il fulcro attorno a cui ruotano tutte le altre figure. Un uomo a metà tra il figlio dei fiori idealista e lo yuppie rampante, un sognatore incapace di prevedere le conseguenze del suo stesso successo.
Diva Futura non è un documentario né un’opera di denuncia, ma un racconto che mantiene sempre una certa idealizzazione dei suoi protagonisti. Schicchi viene dipinto come un rivoluzionario ingenuo, convinto di poter trasformare la pornografia in un mezzo artistico capace di abbattere tabù e creare nuove icone femminili. Il film evita di indugiare sugli aspetti più oscuri di quel mondo – le dipendenze, lo sfruttamento, le derive più degradanti – e punta invece a una celebrazione nostalgica di un’epoca irripetibile.
Tuttavia, nella seconda parte emerge una riflessione più amara: quella rivoluzione non è mai davvero iniziata. Se negli anni ’80 e ’90 Diva Futura sembrava sfidare il moralismo italiano, con l’avvento del nuovo millennio il suo sogno si scontra con una realtà che non è mai cambiata davvero. Le pornostar restano icone di desiderio, ma non vengono mai riconosciute come donne con una carriera oltre la trasgressione. Il film sottolinea questa ipocrisia attraverso il trattamento mediatico riservato a Moana, Cicciolina ed Eva, osannate e sfruttate, ma mai davvero rispettate.
Diva Futura è un’opera che sa intrattenere e divertire, con una messa in scena accattivante e un cast affiatato. Pietro Castellitto tratteggia uno Schicchi carismatico e sognatore, mentre Barbara Ronchi offre un’interpretazione solida nel ruolo di Debora Attanasio, testimone di un mondo a metà tra genialità e illusione.
Tuttavia, il film sfiora ma non approfondisce le tematiche più complesse, preferendo una rappresentazione più romanzata e luminosa rispetto alla realtà dei fatti. A differenza della serie Supersex, che esplora il lato più cupo dell’industria del porno, Diva Futura sceglie una strada più pop e accessibile, risultando un film godibile ma privo di una vera spinta rivoluzionaria.
In definitiva, Diva Futura è un film che lascia lo spettatore soddisfatto, ma anche con la sensazione che la storia meritasse un racconto più approfondito. Un bel ritratto di un’epoca e dei suoi protagonisti, ma la vera rivoluzione rimane ancora da raccontare.
Federica Rizzo