Dark night è liberamente ispirato al caso del Massacro di Aurora, consumato nel 2012 dal dottorando James Holmes ai danni di un folto gruppo di spettatori riuniti nella Sala 9 di un multiplex del Colorado, mentre assistevano alla proiezione di Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno.
Presentato con successo al Sundance Film Festival, Dark Night è il terzo lungometraggio del talentuoso Tim Sutton: un film fieramente indipendente e ammirevolmente autoriale, che racconta la banalità del male quotidiano, mettendo in scena sei esistenze alienate, coinvolte in vario modo in un massacro lasciato volutamente fuori campo. Esseri svuotati e consunti dal vivere desolante e sonnacchioso della provincia americana, immersi in paesaggi freddi, in una routine mortifera e in un silenzio assordante.
Dark night si mostra notevole sin dalla prima, potentissima inquadratura, quella di un occhio con le pupille illuminate da una luce a intermittenza rossa e blu, che scopriamo essere quella di una macchina della polizia. Una ragazza, sconvolta, fissa il vuoto seduta su un marciapiede accanto al cinema dove è avvenuto il massacro; la violenza, improvvisa e terribile, è entrata nel luogo di svago per eccellenza. Ci avvolge subito un sinistro malessere che prosegue, facendosi sempre più intenso, man mano che entriamo nelle vite dei singoli personaggi.
Dark Night non è un documentario, come potrebbe sembrare approcciandoci, in particolare, alla storia di Aaron, ragazzo chiuso in casa con la madre, colpevole di un non ben chiaro reato, raccontata sotto forma di intervista. Quello di Sutton è un film di finzione che riflette sulla strage di Aurora quasi rielaborandola, inventando, e descrivendo con pochi ma incisivi tocchi, personaggi che potenzialmente potrebbero essere tutti l’autore del massacro.
Ci sono l’aspirante attrice ossessionata dal proprio aspetto, il veterano tornato dall’Iraq, i due amici skater (di cui uno si tinge i capelli di arancione come James Holmes la sera del massacro), l’adolescente sudamericana che lavora in un grande magazzino, un timido ragazzo dagli occhi azzurri.
Le inquadrature fisse e i dialoghi scarni, accompagnati dalla dolce, e al contempo inquietante, colonna sonora di Maica Armata, si focalizzano sulle banali vicissitudini di ognuno, creando, dagli insignificanti particolari disseminati nella quotidianità, una tensione fortissima, che preannuncia qualcosa di orribile pronto a esplodere da un momento all’altro.
Sutton ha un approccio minimalista alla materia e uno stile raffinato e potente: impossibile non pensare al cinema di Gus Van Sant, non solo per la tematica trattata, simile al bellissimo Elephant, ma anche per lo stile ipnotico e contemplativo di opere come Last days o Paranoid Park.
Meravigliosamente fotografato da Hélène Louvart, Dark Night è un film sul vuoto che aliena e sulla violenza intrinseca di un Paese. Una violenza che Sutton non mostra mai, ma che fa respirare in ogni sequenza, a volte facendola semplicemente affacciare a una finestra (da pelle d’oca la sequenza del fucile a pochi centimetri da due ragazze che cantano You Are My Sunshine, quasi un leitmotiv del film).
Un’opera certamente non facile, ma è grande cinema!
Alberto Leali