Considerata fra le maggiori figure della prima metà del XX secolo, Sidonie-Gabrielle Colette è stata una delle grandi protagoniste della sua epoca. Scrittrice prolifica, ma anche attrice di music-hall, autrice e critica teatrale, giornalista, commerciante: la sua vita e la sua opera furono certamente la testimonianza di una donna libera, emancipata e affamata di vita, che sfidò le convenzioni morali dell’epoca, contribuendo a rompere alcuni tabù femminili.
E’ in particolare sulla genesi della sua prima opera di successo, la spregiudicata e sensuale saga di Claudine, che si concentra il film di Wash Westmoreland (Still Alice), mettendo in scena l’elegante affresco di un’epoca e soprattutto la figura di una donna forte, disinibita e determinata.
Nata e cresciuta in un piccolo centro della campagna francese, Colette giunge nella Parigi di fine Ottocento dopo aver sposato l’aristocratico autore e impresario letterario Willy (Dominic West). Affascinata dalla vivacità intellettuale dei salotti parigini e spinta a scrivere dal marito, in crisi creativa, Colette riprende i suoi scritti scolastici e dà alla luce la fortunata serie di Claudine, pubblicata inizialmente con il nome di Willy. I romanzi diventano subito un fenomeno letterario e l’autrice, che rimarrà diversi anni nell’ombra, diventerà sempre più consapevole di se stessa, sentendo il bisogno di rivendicare ciò che appartiene alla sua penna e alla sua vita.
La trasformazione di Colette è resa in maniera credibile ed efficace dalla sceneggiatura di Richard Glatzer, Rebecca Lenkiewicz e Westmoreland, ma soprattutto dal talento della protagonista Keira Knightley, ancora una volta a suo agio nei panni di un’eroina d’altri tempi alle prese con conflitti e passioni.
Ma notevole è anche l’interpretazione di Dominic West nei panni dell’affascinante quanto meschino e manipolatore Willy: un ruolo certamente sgradevole e antieroico, ma attraverso cui l’attore riesce comunque a conquistare le simpatie dello spettatore.
La messa in scena è di grande eleganza, grazie alla rigorosa ricostruzione d’epoca, alla lucida fotografia di Giles Nuttgens, ai puntuali costumi di Andreas Flesch e alla sfarzose scenografia di Michael Carlin; i dialoghi sono briosi e accattivanti, mentre il racconto delle relazioni omosessuali che la protagonista intreccia con alcune delle più famose personalità mondane dell’epoca è ironico pur se decisamente ammansito.
Colette è dunque un biopic che, pur non brillando per originalità stilistica, riesce a rendere efficacemente sia la vivacità della Belle Époque parigina di inizio ‘900 che l’ambiguo e controverso rapporto tra una moglie e un marito allo stesso tempo complici e rivali. Presentato al trentaseiesimo Torino Film Festival, Colette sarà nelle sale italiane dal 6 dicembre con Vision Distribution.
Roberto Puntato