Al cinema dal 24 aprile con Warner Bros. Pictures
Un triangolo sentimentale raccontato attraverso il tennis è al centro del nuovo film di Luca Guadagnino, che non manca, anche stavolta, di dare sfoggio alle sue prodezze registiche.
La forma, infatti, è decisamente più interessante del contenuto in Changellers, che mette in campo una battaglia sportiva solo in superficie, ma sessuale ed esistenziale nel profondo.
Qui il trofeo che i due maschietti (Josh O’Connor e Mike Faist), un po’ immaturi e capricciosi, si contendono non è solo il Challenger Tour, ma la determinata e spregiudicata Tashi di Zendaya.
Una donna autonoma, al contrario degli altri due, che sa anche essere calcolatrice, opportunista, sprezzante. E che soprattutto non ammette errori, sia dentro che fuori dal campo. Un’ex prodigio del tennis, che un terribile infortunio ha bloccato nel massimo del fulgore, poi diventata allenatrice e moglie di uno dei due (Faist). Lui, grazie ai suoi consigli tecnici, è riuscito a primeggiare in tutti i tornei del Grande Slam, ma ora ha perso il suo smalto e cerca riscatto. Ovviamente, nella competizione della vita, si troverà a scontrarsi con il suo amico e rivale in amore (O’Connor).
Di difetti Changellers ne ha diversi, a cominciare da personaggi stereotipati, da dinamiche relazionali già viste (due migliori amici che più diversi non si può, l’incontro con lei, lei che sceglie prima uno e poi l’altro, tensioni agonistiche e sentimentali, rancori, non detti, segreti, ecc), da metafore piuttosto ovvie e da un triangolo sentimentale che non esplode mai per davvero.
Ma possiede un’estetica pop ed un gusto camp e patinato che lo rendono indubbiamente “cool”. D’altronde, ha per protagonista il trio attoriale del momento (di cui il più bravo è Josh O’Connor), una regia visionaria che vuole stupire a tutti i costi, arditi salti temporali, ottimi montaggio e fotografia, citazioni alte (il Bertolucci di Novecento) e ammiccamenti omoerotici. Il tutto condito dalle musiche martellanti e trascinanti di Trent Reznor e Atticus Ross.
In pratica, è un film medio hollywoodiano, con uno script meccanico e prevedibile, ma con una confezione di gran lusso che lo fa diventare accattivante. E dove il tennis, rappresentato con pochissima accuratezza e con consapevole inverosimiglianza, è solo un colore, un mezzo per parlare di tutt’altro, anche se non sempre interessante.
Un’opera modaiola, che mescola alto e basso in maniera spregiudicata, che eccede in tutto, ma sa essere viva, perfino raffinata nella sua capacità di trasformare il pacchiano in qualcosa di sublime. Un film d’autore vero ma, allo stesso tempo, un perfetto prodotto commerciale.
Ilaria Berlingeri