Scritto, diretto e interpretato dall’attore Premio Oscar per Manchester by the sea, il film arriva in sala il 21 novembre distribuito da Notorious Pictures
Il Premio Oscar Casey Affleck è l’ospite internazionale che chiude la 17ma edizione di Alice nella città presentando l’ultima fatica che lo vede sia davanti che dietro la macchina da presa, il bellissimo Light of my life.
Il film, in sala dal 21 novembre con Notorious Pictures, racconta l’intenso rapporto tra un padre e una figlia in un contesto inedito, un mondo post-apocalittico dove una pestilenza ha sterminato la quasi totalità del genere femminile. La piccola Rag (la bravissima Anna Pniowsky, presente anche lei a Roma) pare essere tra le poche sopravvissute: è per questa ragione che suo padre le taglia i capelli e cerca in tutti i modi di proteggerla da un genere umano diventato temibile e aggressivo. I due viaggiano instancabili attraverso boschi e cittadine rurali trovando riparo dove capita, ma non abbassando mai la guardia: il loro obiettivo è sopravvivere, tenendosi lontani dagli altri uomini e soprattutto restando insieme.
Light of my life non ha nulla del disaster o del survival movie, la sua ambientazione è solo il pretesto per raccontare due emozionanti percorsi di crescita, quello di un padre che deve prendere atto della crescita della sua bambina, e quello di una figlia che, nel passaggio dall’infanzia alla pubertà, deve imparare a cavarsela da sola. La forza del film sta proprio nel racconto intimo di sentimenti universali come l’amore incondizionato e l’ansia di protezione di un padre verso una figlia, ma anche la sua goffaggine di fronte ai primi segnali del suo fiorire.
“La suspense che permea il film non deriva tanto dalle minacce esterne, quanto dalla perdita dell’innocenza che inizia a serpeggiare sin dalle prime sequenze, attraverso le manifestazioni di indipendenza di Rag – racconta Casey Affleck a Roma – Suo padre le ha costruito attorno una bolla, ma lei cerca pian piano di uscirne. Quando ho girato “Gerry”, Gus Van Sant mi diceva: “Lasciamo che i temi del film vengano fuori da soli”. E’ quello che ho cercato di fare anch’io in questo film, mettendoci molte cose che riguardavano la mia vita, ma facendo sì che i temi emergessero spontaneamente, senza forzature. E così mi sono accorto che parlava della necessità di imparare a lasciare andare, un aspetto a cui non avevo pensato mentre lo scrivevo“.
Crepuscolare, potente, ricco di tensione, Light of my life paga sicuramente qualche debito nei confronti del bellissimo La strada di Cormac McCarthy, ma è abilissimo a declinare la storia in maniera personale, tirando fuori – come afferma lo stesso Affleck – “cose che covavo da tempo nel mio cuore”.
“Amo molto Cormac McCarthy, – rivela – 25 anni fa gli mandai persino una lettera invitandolo sul set di un film che stavo girando. Inaspettatamente lui ci venne, accompagnato da sua moglie, e mi parlò de “La strada” che ancora non aveva scritto e che poi è diventato un cult. E’ un libro che mi ha segnato profondamente e che ha ispirato anche questo film, pur essendomi sforzato in tutti i modi di non copiarlo. Non è facile essere originali, bisogna farsi guidare dal cuore. Altre fonti di ispirazioni sono state “Witness – Il testimone” di Peter Weir, “Io sono leggenda” di Francis Lawrence, ma anche i film di Chantal Akerman“.
Più che i messaggi politici al film interessano quelli umani, etici e morali. “Non avevo intenzione di scrivere una metafora – dice Casey Affleck – Questo film è più una visione impressionistica delle cose che per me hanno valore. Ho voluto che al centro della storia vi fosse il personaggio di Anna Pniowsky, perché è soprattutto alle giovani generazioni che parla il film. E proprio come Rag, loro non chiedono l’autorizzazione di agire, lo fanno e basta“.
Alberto Leali