E’ partito il conto alla rovescia per tutti i cinefili, in attesa della data fatidica del 5 ottobre, che vedrà uscire nelle sale il film più atteso dell’anno, “Blade Runner 2049”.
Il sequel del celeberrimo capolavoro di Ridley Scott, che ha cambiato la storia del cinema di fantascienza, sarà diretto dal canadese Denis Villeneuve (Arrival, Sicario, Enemy), a 35 anni di distanza dal predecessore. Scott vestirà stavolta il ruolo di produttore, mentre tornerà sullo schermo Harrison Ford nello storico ruolo di Rick Deckard, accanto al nuovo cacciatore di androidi interpretato da Ryan Gosling. Del cast fanno parte anche Robin Wright, Sylvia Hoeks, Mackenzie Davis, Jared Leto, Ana de Armas e Dave Bautista.
A Roma, per presentare il film, di cui la stampa ha assaggiato un folgorante footage, ci sono stati il regista Villeneuve e l’attrice Sylvia Hoeks, già ammirata ne “La migliore offerta” di Giuseppe Tornatore e che in Blade Runner 2049 interpreta il ruolo di Luv.
“Il mondo rappresentato in Blade Runner 2049” sarà diverso rispetto a quello del primo film – afferma Villeneuve – Allora si raccontava di un futuro bello e da incubo allo stesso tempo. 2049 ci dimostra, invece, che le cose non sono andate per il verso giusto. Il clima si è evoluto in modo disastroso, i sopravvissuti vivono in condizioni terribili, tant’è che la città si è dotata di un muro protettivo”.
L’agente K, il personaggio interpretato da Ryan Gosling, racconta Villeneuve, non è certo uno che usufruisce dei vantaggi della tecnologia: “Internet non è una bella cosa per noi sceneggiatori – afferma il regista- non c’è nulla di più noioso che vedere un poliziotto alla scrivania che cerca indizi al computer; per questo abbiamo immaginato che un enorme impulso elettromagnetico ha creato un blackout che ha distrutto tutti i dati. Si verifica, quindi, la fine del mondo digitale e il ritorno all’analogico. Questo dovrebbe farci riflettere sul nostro presente e sul fatto che il mondo digitale è potente e fragile al contempo. Per le sue indagini, quindi, l’agente K, deve mettere le mani nel fango, incontrare la gente, girare per le strade. Ridley Scott, produttore esecutivo, ha pensato subito a Ryan Gosling come protagonista e me lo ha fatto sapere quando mi ha consegnato la sceneggiatura. Ho pensato, leggendola, che era straordinaria e che in effetti solo Ryan avrebbe potuto interpretare l’agente K. Lui non aveva mai fatto un film di questo tipo, ma si è innamorato della sceneggiatura e ha accettato subito. Si è ispirato molto al personaggio di Harrison Ford nel primo Blade Runner, ma il suo personaggio è più complesso. Amo gli attori che non fanno gli attori, ma che diventano il loro personaggio. Come Clint Eastwood o Harrison Ford, che davanti a una macchina da presa portano presenza, senza neanche muoversi o battere ciglio, così Ryan riesce a esprimere tutte le sfumature del suo personaggio grazie alla sua presenza e al suo carisma. E’ un attore di grandissimo talento: il film si regge sulle sue spalle e lui è presente in ogni singola inquadratura. Inoltre, oltre al cast, ho scelto personalmente tutte le comparse, una per una, tra migliaia e migliaia di candidati”.
“La mia Luv è un po’ una Audrey Hepburn sotto l’effetto di Lsd – scherza l’attrice Sylvia Hoeks- Lei lavora per Wallace, il personaggio interpretato da Jared Leto: è il suo braccio destro, fa tutto per lui, il loro è un rapporto molto complesso. Il mio è un personaggio alla ricerca della propria identità, molto sfaccettato e complesso, forse il ruolo più esaltante che ho ricoperto. Ma il film è ricco di interessanti personaggi femminili: donne forti, come Robin Wright, con cui giro una scena molto intensa e difficile. Con Jared è stato molto affascinante lavorare. Non avevamo mai lavorato insieme e, sinceramente, non ho mai conosciuto un attore come lui: non è mai uscito dal suo personaggio. Il fatto di non conoscerci ha contribuito molto, forse, alla resa del rapporto tra i nostri personaggi in scena”.
Il giallo sarà, inoltre, il colore predominante di Blade Runner 2049. “Ridley Scott ha creato atmosfere cupe, fumose, che hanno esteticamente lasciato il segno – afferma Villeneuve- Abbiamo voluto creare delle analogie col primo film e riprodurre quello stesso mondo, che però, nel frattempo, è peggiorato, specie climaticamente. Quindi abbiamo giocato molto sull’inverno, sul freddo e sulla neve e lavorato alla ricerca di una luce diversa. Infatti ai momenti bui e cupi, tipici del primo film, se ne alternano altri più bianchi e argentei, ispirati alla luce del Nord. E poi c’è il giallo, che è un colore legato all’infanzia, ma anche un colore non facile per un direttore della fotografia. È stata una grande sfida per il maestro Roger Deakins“.
Un film, ovviamente, ricchissimo di effetti speciali e che ha comportato un uso massiccio della CGI. “Ovviamente quando si fa un lavoro sul futuro, la CGI è importante – afferma Villeneuve – Ma è anche vero che ho scelto di costruire tutti i set, grazie anche a un budget che me lo ha permesso. Sono stato felice di tornare un po’ alle origini del cinema, a come si facevano i film una volta. E questo ha aiutato molto anche la recitazione degli attori”.
Villeneuve conclude l’incontro ricordando che compirà mezzo secolo due giorni prima dell’uscita del film. “Mi piace invecchiare, più invecchio e più sono in pace con me stesso. Gli ultimi anni sono volati, ho fatto tanti film in poco tempo; adesso posso riflettere sul mio cammino registico e capire ciò che voglio fare in futuro. Non ho accettato a cuor leggero di realizzare il sequel di un capolavoro così amato. Blade Runner è stato un film fondamentale per la mia passione per il cinema, sognavo di diventare regista quando lo vedevo, ha avuto su di me un impatto potentissimo. Sono sempre stato appassionato di fantascienza, ma del genere di 2001 Odissea nello spazio o dei film di Tarkovskij. E poi Isaac Asimov, Frank Herbert, Jules Verne sono sempre stati i miei autori di riferimento. Sono consapevole del fatto che bisogna mantenere il controllo e che sono poche le possibilità di avere successo; l’ho fatto per l’amore verso il cinema e verso l’arte. D’altronde, non c’è arte senza rischio. E poi, credo che sia il film migliore che abbia fatto“.
Alberto Leali