Dopo la morte di suo padre T’Chaka (John Kani), T’Challa (Chadwick Boseman), eredita il trono di Wakanda, una sorta di Atlantide nascosta nel cuore dell’Africa, dotata del metallo vibranio, una risorsa straordinaria che l’ha resa un Paese tecnologicamente avanzatissimo. T’Challa si trova presto a dover fare i conti con due potenti nemici: il mercenario Ulysses Klaue (Andy Serkis), interessato al potere e alla ricchezza che potrebbe fruttargli il vibranio, e suo cugino Killmonger (Michael B. Jordan), deciso a rivendicare il trono e assetato di vendetta a causa di un terribile segreto che riguarda T’Chaka.
Non è il solito cinecomic Black Panther, il diciottesimo film della Marvel Cinematic Universe e il primo diretto da un regista di colore, il Ryan Coogler di Creed. E’ piuttosto un’opera adulta, quasi shakespeariana, fortemente legata al contesto africano e alla sua complessa e sfaccettata identità.
Dedicato a uno degli eroi meno blasonati dell’universo Marvel, introdotto in Captain America: Civil War, Black Panther narra di famiglia, di colpe dei padri, di figli che si sforzano di essere alla loro altezza, di potere, di sete di vendetta, di rapporti fra nuove e vecchie generazioni, di un popolo da sempre ferito e sfruttato.
Al centro del racconto, un eroe molto diverso da quelli a cui Marvel ci ha abituati: T’challa è insicuro e tormentato, sente addosso il peso dell’inadeguatezza del suo ruolo di sovrano e si trova di fronte a un profondo dilemma: evitare che il vibranio finisca nelle mani sbagliate o condividerlo per aiutare intere popolazioni in difficoltà?
Non più gravato dalla sovrabbondante comicità dei film precedenti, Black Panther lascia spazio alla storia, che rappresenta uno dei suoi principali punti di forza, e che non teme di trattare temi politicamente importanti come il razzismo, la responsabilità personale di fronte a un popolo, i mostri creati dall’autoconservazione e il coraggio di tagliare i ponti col passato quando la tradizione soffoca fondamentali istanze di cambiamento.
Ma altrettanto potente in questo film stand alone è l’ambientazione: una Wakanda da mozzare il fiato, illuminata dai colori dell’Africa e dagli splendidi tramonti; una terra sospesa tra tradizione e modernità, che all’antica ritualità tribale accompagna una sbalorditiva dimensione hi-tech.
Oltre alle spettacolari coreografie action, ormai imbattibile marchio di fabbrica Marvel, Black Panther spicca anche per l’efficace disegno dei personaggi e per la scelta del cast: in particolare, sono da segnalare gli interessanti ruoli femminili, come la spia Nakia di Lupita Nyong’o, la tostissima guardia reale Okoya di Danai Gurira o l’ironica Shuri di Letitia Wright. Ma da sottolineare è anche la presenza di ben due riuscitissimi villain, il mercenario Klaue, interpretato magnificamente da Andrew Serkis, e il più “tragico” Killmonger di Michael B. Jordan.
Insomma, per chi pensa che la Marvel si sia adagiata su stili e temi sempre uguali a se stessi, dovrà ricredersi, perché Black Panther è un film dalla personalità dirompente e dall’identità politica precisa, lontanissimo dall’estetica e dai contenuti dei film precedenti. Un film a suo modo “sovversivo”, che segna un passo importante per l’industria hollywoodiana, che finora aveva relegato il cinema black a produzioni di ben scarso rilievo. Vincitore di 3 Premi Oscar (scenografia, costumi e colonna sonora).
Alberto Leali