Con protagoniste Rachel Zegler e Gal Gadot, arriva al cinema dal 20 marzo
Il nuovo adattamento live-action di Biancaneve firmato Disney, diretto da Marc Webb e scritto da Erin Cressida Wilson, si presenta come un tentativo di aggiornare la celebre fiaba dei fratelli Grimm, ma finisce per essere una fusione forzata di vecchi e nuovi elementi, che fatica a trovare un equilibrio tra la modernizzazione del classico e il rispetto per la sua potenza simbolica.
Nel film, Biancaneve, interpretata dall’attrice colombiana Rachel Zegler, non è più la giovane e passiva fanciulla in attesa di un principe azzurro. Al contrario, è una ragazza forte, coraggiosa e consapevole del suo ruolo come legittima erede del trono, cresciuta dal padre con valori di fierezza e determinazione. Il cambiamento più significativo riguarda l’interesse amoroso della protagonista, che non è più il tradizionale principe, ma un bandito ribelle di nome Jonathan (interpretato da Andrew Burlap), che, pur nel suo spirito di ribellione, incarna un valore molto più vicino alla sensibilità dei giorni nostri. Il bacio che la salva, dunque, non è più solo simbolo di una liberazione passiva, ma di un amore consapevole e consensuale.
Il film si adatta anche alle sensibilità contemporanee riguardo all’inclusività e all’empowerment femminile. La scelta di Zegler per il ruolo di Biancaneve e l’inserimento di un cast multietnico, con il cacciatore interpretato da un attore afroamericano e altri personaggi che riflettono una varietà culturale, riflette l’orientamento più inclusivo del film. Tuttavia, l’interpretazione della regina Grimilde da parte di Gal Gadot porta un contrasto interessante tra l’aspetto fisico della malvagia sovrana, splendida e glaciale, e la versione di Zegler, che, pur non essendo la classica bellezza, è innalzata a “più bella del reame” per la sua forza interiore.
La decisione di trasformare i sette nani in creature digitalmente create in CGI non convince del tutto. Sebbene l’intenzione fosse quella di aggiornare il racconto, i nani in CGI, con il loro aspetto umanoide-cartoon, risultano a tratti inquietanti e difficili da integrare armoniosamente con la parte più “tradizionale” della narrazione. In particolare, la scelta di far parlare Cucciolo, che nel cartone originale era muto, appare una forzatura che sembra perdere la genuinità del personaggio.
Un altro aspetto che spiazza è la riduzione della componente horror della fiaba, che nei fratelli Grimm era una metafora della paura e del disgusto verso l’invecchiamento femminile. Qui, la regina Grimilde non subisce la stessa sorte catastrofica che nel racconto originale le viene riservata dai nani, e il destino della malvagia matrigna viene trattato con maggiore complessità, ma senza una vera e propria risoluzione drammatica. Inoltre, l’inclusione di numerose canzoni – un elemento tipico dei musical – allunga il film e, nonostante alcune coreografie spettacolari, non riesce a sostenere l’intero impianto narrativo, diventando a tratti pesante e fuori luogo.
Al di là dei tentativi di rendere il film più moderno e accessibile al pubblico contemporaneo, la sensazione che rimane è quella di una narrazione disomogenea. Le scelte visive e stilistiche, che vanno dalla corte regale che richiama i musical MGM degli anni ‘50 a scene corali che sembrano uscire da un’opera di Volpedo, sembrano avere il solo scopo di soddisfare le diverse aspettative di un pubblico variegato, senza riuscire a creare una visione coerente. La magia della versione animata del 1937, simbolo di un’epoca in cui l’animazione era una forma d’arte pura e raffinata, non riesce a essere riprodotta, risultando in un film che, pur con buone intenzioni, non riesce a trovare una propria identità.
Se da un lato è apprezzabile il tentativo di rendere Biancaneve una figura più attiva e moderna, dall’altro si perde la forza della fiaba originaria, che conteneva un potente simbolismo riguardo alla bellezza, alla vanità e al destino femminile. In definitiva, Biancaneve 2025 si configura come una rilettura che, sebbene interessante, non riesce a fondere pienamente le due anime del progetto: quella classica, iconica, e quella più contemporanea, attenta alle problematiche sociali e di inclusività.
Concludendo, il film di Webb non è un fallimento totale, ma una riscrittura che si dibatte tra nostalgia e novità, tra un desiderio di emancipazione e una necessità di fedeltà al passato. In questo contesto, l’eterogeneità delle scelte narrative e stilistiche non consente al film di trovare un equilibrio, lasciando un senso di incompiutezza che fa rimpiangere l’eleganza del classico Disney, pur con il suo messaggio datato.
Maria Grande