La resistenza nel cuore del nazismo. Nelle sale italiane dal 20 marzo con Teodora
Berlino, estate ’42 di Andreas Dresen è un film che racconta una storia di coraggio e sacrificio, ma anche di una resistenza che la Storia ha in gran parte dimenticato. Il film si concentra sulla vita di Hilde Rake (Liv Lisa Fries), una giovane assistente medica che entra a far parte dell’“Orchestra rossa”, un gruppo di oppositori al regime nazista, al fianco di Hans Coppi (Johannes Hegemann), il suo futuro marito. Attraverso la sua vicenda, il regista dipinge il ritratto di una gioventù idealista che, pur consapevole del pericolo, si batte per un futuro migliore.
Il film, costruito su una sceneggiatura di Laila Stieler, mescola la tensione della resistenza con una narrazione intima e struggente. Dresen non si limita a ricostruire eventi storici, ma trasforma la cronaca in un’allegoria della lotta contro il totalitarismo, portando lo spettatore nel cuore dell’orrore del nazismo con delicatezza e introspezione. Alterna, inoltre, attimi di felicità, come le passeggiate e i momenti di intimità tra Hilde e Hans, a scene di grande tensione e paura. Un contrasto che accentua l’inconsapevolezza con cui i protagonisti si avventurano in un cammino che li porterà all’inevitabile fine.
Dresen (Settimo Cielo, Un’estate sul balcone), noto per il suo approccio impressionista, ci regala una visione intensa della vita quotidiana durante il regime nazista. La scelta di raccontare gli eventi attraverso una narrazione non lineare, che alterna momenti di felicità e speranza con le tragedie future, consente di esplorare la psiche dei protagonisti e la loro determinazione a non cedere. Sebbene le azioni dell’Orchestra rossa non abbiano avuto un impatto decisivo sull’esito della guerra, la loro lotta si rivela, in ultima analisi, fondamentale per il significato simbolico che porta: quella della resistenza, del non abbassare la testa di fronte alla violenza.
La performance di Liv Lisa Fries nei panni di Hilde è straordinaria. La sua interpretazione, che riesce a esprimere una fragilità intensa ma anche una forza implacabile, è il cuore pulsante del film. La sua figura emerge in modo particolarmente potente quando, in prigione, affronta con dignità il dolore e la perdita, cercando al contempo di proteggere il figlio che porta in grembo, il cui destino è tragicamente segnato. Le scene in carcere, illuminate da una fotografia che passa da tonalità luminose a ombre sempre più cupe, rispecchiano il passaggio dalla speranza all’inevitabilità del destino tragico.
La pellicola, inoltre, non scivola mai nel sensazionalismo. Anzi, la sua forza sta nella sobrietà e nella capacità di mettere in luce l’umanità dei protagonisti, anche quando tutto sembra perduto. Dresen non cerca facili emozioni, ma riesce a restituire una verità dolorosa e cruda attraverso l’attenzione ai dettagli, che rivelano l’orrore con grande intensità, come quando ad Hilde viene cambiato il camice sporco di latte materno, con uno intriso del sangue di una vittima precedente, simbolo del disfacimento della dignità umana.
Il film si chiude con un finale che è sia una riflessione sul sacrificio, sia un monito sulle dinamiche di oppressione che, purtroppo, sono ancora terribilmente attuali. Seppur la storia di Hilde e Hans Coppi sembri una piccola parentesi nel grande libro della Seconda Guerra Mondiale, la loro lotta è un esempio universale di coraggio e di resistenza. Una resistenza che, come il film ci ricorda, non può essere mai dimenticata.
La visione di Berlino, estate ’42 non è semplice e potrebbe risultare ostica per chi è abituato a film dal ritmo più spedito. Ma è proprio questo tipo di cinema, che sfida lo spettatore ad affrontare la realtà con tutta la sua durezza, che va preservato e sostenuto. In un mondo in cui la memoria rischia di svanire, opere come questa sono necessarie per mantenere vivo il ricordo di chi ha scelto di resistere, anche quando il futuro sembrava ormai perduto.
Ilaria Berlingeri