Per saldare un debito con il boss del crimine Doc, il giovane Baby si trova costretto a mettere a disposizione della malavita le proprie eccezionali doti di guidatore, collaborando con una banda di bizzarri delinquenti in una serie di mirabolanti rapine. Quando però il giovane si innamora della cameriera Debora, cercherà in tutti i modi di uscire da quella vita che non gli appartiene.
Sempre più consapevole del suo talento registico e della sua brillante capacità di rivisitare i generi, Edgar Wright torna dopo 4 anni dal suo precedente lavoro, La fine del mondo, per regalarci la sua ultima fatica, Baby driver, film adrenalinico, cinefilo e assolutamente folle.
Ce ne accorgiamo subito dal folgorante incipit, con il suo montaggio spericolato, la colonna sonora trascinante (Bellbottoms dei Jon Spencer Blues Explosion), le inquadrature mirabolanti e l’irresistibile ironia/parodia, che è un po’ il marchio di fabbrica dell’autore britannico. Perfetto il giovane protagonista Ansel Elgort con gli occhiali scuri, le cuffiette alle orecchie e gli iPod sempre accesi e cangianti a seconda del suo umore: un pesce fuor d’acqua in mezzo a una banda di malviventi, uno più cattivo ma anche più divertente dell’altro. Un baby Steve McQueen che non spiccica parola, ma che fa funzionare il cervello (e i piedi) alla grande. Un giovane che ha molto sofferto e che porta sul volto (e nelle orecchie) i segni dei drammi della sua vita: per lui la musica è compagna imprescindibile nel lavoro e in ogni ora del giorno.
Con Baby driver, Wright strizza l’occhio al cinema del passato (Bonnie e Clyde, Thelma & Louise, gli action di McQueen e Walter Hill) e del presente (Drive, Fast & Furious, Tarantino, Guy Ritchie): lo prende in giro affettuosamente (scatenando spesso sonore risate), lo frulla, lo ricicla, lo reinventa.
Lo stile è fresco, ingegnoso, eccitante: un gioco ipercinetico di generi cinematografici (commedia, action, sentimentale, horror, crime, musical) che si fa cinema allo stato puro nel far convivere esperienza sensoriale, visiva e uditiva e nell’utilizzare le canzoni come un metronomo regolato sul tempo delle scene. Uno spassosissimo caos creativo orchestrato, però, con grande maestria e che suscita l’applauso in più di un’occasione.
La prima parte di Baby driver, la più leggera e scanzonata, con le numerose scene di stunt e acrobazie al volante da lasciare a bocca aperta, è da preferire alla seconda, più sanguinolenta, seriosa e con qualche eccesso di troppo, ma lo spettacolo è assicurato e il film non mancherà di conquistare il pubblico più svariato, dai più giovani ai nostalgici di un cinema che non si fa più. Kevin Spacey e Jamie Foxx irresistibili nei loro ruoli di villain.
Alberto Leal