Un inno selvaggio alla bellezza dell’essenziale, al cinema dal 24 aprile distribuito da Fandango
Con Arsa, il duo artistico Masbedo – Nicolò Massazza e Iacopo Bedogni – torna alla regia cinematografica firmando il suo secondo lungometraggio di finzione: un’opera sospesa tra poesia visiva, tensione interiore e mitologia contemporanea. Insieme a Giorgio Vasta alla sceneggiatura e alla produttrice Beatrice Bulgari, Masbedo costruisce un racconto fiabesco e sensoriale che si muove tra il silenzio e il suono, tra l’introspezione e il paesaggio, dove la protagonista – interpretata con intensità e istintiva autenticità dalla giovane esordiente Gala Zohar Martinucci – si fa simbolo di una forma radicale di esistenza.
Arsa è poco più che adolescente, ma già ha scelto un’esistenza in assoluto contrasto con il mondo che la circonda. Vive da sola sull’isola di Stromboli, in una capanna spartana immersa nella natura, lontana dalla superficialità del turismo e dalla frenesia del consumo. Figlia di un artigiano-artista che le ha lasciato in eredità una sensibilità creativa e uno sguardo laterale sul mondo, Arsa trasforma gli scarti abbandonati sulla spiaggia in creature ibride e immaginifiche, “mostri buoni” che testimoniano la possibilità di rinascita e di trasformazione.
Il mare è la sua casa, il suo confine e il suo specchio. È proprio tra le onde che Arsa scopre una statua antica sul fondale, oggetto inaccessibile e simbolo di un passato sommerso, di un’origine misteriosa e affascinante. In parallelo, l’arrivo di Andrea – un giovane turista – diventa il detonatore di un turbamento emotivo: Arsa è costretta a confrontarsi con il desiderio, con la vulnerabilità, con la possibilità del legame. La relazione tra i due non si sviluppa in termini convenzionali, ma agisce come uno specchio deformante: lei lo osserva da lontano attraverso il binocolo, gesto che è insieme metafora del cinema e affermazione di distanza.
La narrazione rarefatta, volutamente priva di accelerazioni, favorisce l’immersione in un tempo altro, fatto di gesti lenti, contemplazione e silenzi pieni. Ma proprio questa scelta estetica può risultare, per alcuni spettatori, una barriera alla piena fruizione emotiva del film, che rischia di apparire più come un’opera concettuale che come una storia narrata. L’impianto visivo e sonoro, però, è di rara potenza: la fotografia di Gherardo Gossi regala immagini magnetiche, mentre il sound design di Marco Saitta amplifica la fisicità della natura e le sue vibrazioni interiori.
Arsa è una riflessione profonda sul senso del limite, sull’elaborazione della perdita e sulla possibilità di rinascere attraverso l’arte e l’immaginazione. È anche un’opera che mette a confronto due mondi inconciliabili: da una parte l’isolamento, la sostenibilità, il rapporto simbiotico con l’ambiente; dall’altra, la superficialità del consumo, la finzione del bello preconfezionato. Arsa, in questo senso, non è solo un personaggio ma un’idea incarnata: un corpo che si fa paesaggio, un’identità che resiste, una voce che – anche quando tace – dice tutto.
Pur sfiorando tanti temi importanti – dall’ecologia al lutto, dal desiderio alla crescita – il film sceglie di non approfondirli analiticamente, lasciandoli fluttuare come frammenti visivi, come oggetti portati dal mare. E in questo sta forse la sua forza e il suo limite. Ma se si accetta di abbandonarsi al ritmo del respiro, Arsa si rivela un’esperienza cinematografica ipnotica, un invito a guardare – davvero – ciò che spesso non vediamo.
Ilaria Berlingeri