Presentato in anteprima alla 74ª Berlinale, arriva al cinema dal 21 marzo con 01 Distribution
Sal (Gael García Bernal) perde la compagna Zoe (Renate Reinsve) in un incidente d’auto e il suo dolore è così profondo che tenta il suicidio. La sorella Ebe (Bérénice Bejo) lo spinge, così, a cercare una soluzione in Another end, una tecnologia d’avanguardia in grado di caricare la personalità e i ricordi della persona scomparsa nel corpo di un volontario, per creare una serie di incontri che preparino chi resta a dire addio al defunto. Dopo aver ritrovato la sua Zoe, però, Sal non riesce a staccarsi da lei e inizia a pregare la sorella, che lavora per l’azienda proprietaria del programma Another end, di dargli più tempo.
L’opera seconda di Piero Messina (L’attesa) è un film felicemente atipico nel panorama italiano, che sorprende per stile oltre che per tematica e sviluppo.
Una combinazione rischiosa, ma assolutamente ben bilanciata, di romance e sci-fi, che racconta il peso della perdita e i tentativi dell’amore di sovvertirla, ma anche l’incapacità di affrontare il dolore e le sue contraddizioni.
Le influenze sono varie, da Blade Runner a Michel Gondry, da Spike Jonze ai cromatismi freddi del cinema nordico, per un melodramma distopico in cui l’abusato tema dell’elaborazione del lutto viene trattato in maniera del tutto originale. Spingendo lo spettatore a una serie di riflessioni importanti sulle modalità di intervento della scienza sulle questioni umane. In particolar modo, sulla possibilità di governarla nell’illusione di poter tenere in vita chi amiamo fino a quando saremo finalmente in grado di dirgli addio.
Una società contemporanea inquietante e fallace quella messa in scena da Another end, dove i ricordi finiscono in un museo e dove la morte stessa diventa un ologramma da aggirare. Una società tristemente omologata, nel dolore così come nell’amore, totalmente incapace di affrontare il cambiamento e gli sconvolgimenti emotivi.
Il valido cast internazionale, a cominciare da un Gael García Bernal che lavora tutto in sottrazione, si lascia guidare da una regia discreta ma efficacissima, così come dalle atmosfere sospese e stranianti messe in risalto dalla fotografia di Fabrizio La Palombara e dalla musica di Bruno Falanga.
Ottimo il finale, con un cambio di prospettiva totalmente inatteso, per un film non perfetto, ma emotivamente rilevante. Che resta.
Paola Canali