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Pochi giorni prima di Natale, Matthias lascia il suo lavoro in un macello tedesco per fare ritorno nel piccolo villaggio d’origine in Transilvania. Qui trova una serie di situazioni complicate: il figlioletto Rudi, rimasto con la madre, ha paura di qualcosa di indefinito che ha visto nei boschi; suo padre soffre di una strana forma di narcolessia, mentre la sua amante Csilla, che dirige un panificio industriale, ha assunto dei braccianti srilankesi per ottenere benefici UE, suscitando la feroce indignazione della popolazione locale.
Il quinto lungometraggio di Cristian Mungiu conferma la statura autoriale del regista rumeno, che ci spiazza con un potente racconto allegorico sul razzismo contemporaneo.
In realtà, sono molti i temi toccati da Animali selvatici, attraverso la prospettiva di un piccolo villaggio della Transilvania in cui vivono, fianco a fianco, comunità di varia origine. Dal concetto di identità a quello di appartenenza, da quello di coesistenza interculturale a quello di isolamento, da quello di crisi dialogica a quello di conflitto sociale.
Mungiu si muove con abilità tra costruzione realistica e allegoria, tratteggiando lo sconvolgente ritratto di una Romania, ma più in generale di un’Europa, alla deriva.
La Romania di Animali selvatici è, infatti, un territorio che mescola culture e identità, eppure chiuso a riccio di fronte ai migranti, dominato dal pregiudizio e da intolleranze sopite a lungo, ma più vive che mai.
Dal canto suo, l’Europa non aiuta: appare, anzi, come un’entità aliena, che ha fallito le sue dinamiche di integrazione.
Il messaggio è chiaro: ogni territorio punta il dito contro il suo “straniero”, da guardare con sospetto e possibilmente cacciare con la forza, per preservare una supposta integrità culturale che storicamente non è mai esistita.
Lo stile di Mungiu è al solito rigoroso: lascia ampio spazio al tempo della narrazione, ricorre a piani sequenza e riprese fisse, ma anche a un montare angoscioso che attanaglia gradualmente gli spettatori.
Nel suo cinema, da sempre, i comportamenti dei singoli sono lo specchio di dinamiche sociali e politiche, così da raccontare l’essenza profonda e le contraddizioni di un intero Paese. Rispetto ai suoi film precedenti, qui l’approccio si presenta maggiormente corale, mettendo in scena un notevole numero di personaggi secondari, per rendere l’analisi il più possibile completa e approfondita.
Un grande film, ambizioso e complesso, ammirevole per recitazione, scrittura e messa in scena.
Maria Grande