Joe è un tormentato veterano di guerra, che vive con l’anziana madre ed è vittima dei fantasmi di un passato segnato dal dolore. Killer mercenario per chi vuole liberarsi di nemici pericolosi, Joe viene assoldato da un politico locale per salvare sua figlia adolescente, Nina, da un giro di prostituzione minorile. Il caso si rivelerà, però, più complesso del previsto e finirà per innescare una pericolosa spirale di violenza.
Adattando con diverse licenze il romanzo breve di Jonathan Ames dal titolo Non sei mai stato qui, la regista scozzese Lynne Ramsay racconta ancora una volta l’infanzia violata, come nei precedenti Ratcatcher ed E ora parliamo di Kevin. Lo fa stavolta attraverso due personaggi speculari, Joe e Nina, e una trama che richiama quella di cult come Taxi driver, Léon o il più recente Drive.
Non è certo la vicenda, però, l’aspetto più interessante di A Beautiful Day, quanto lo stile potentissimo ed inedito della messa in scena che dà forma alla disperazione e ai traumi del protagonista. Attraverso continui sbalzi temporali che propongono i pezzi dolorosissimi di una vita segnata dall’abuso, la Ramsay disegna il ritratto di un uomo stanco della vita e ossessionato dai ricordi: ricordi d’infanzia legati ad un padre sadico e maniaco della disciplina o a crimini di guerra di cui è stato spettatore o artefice.
Joe trova proprio in quella violenza che lo ha segnato così brutalmente il mezzo della propria sussistenza, sporcandosi le mani per chi non è disposto a farlo. Armato di martello, con cui uccide con meccanica facilità, l’uomo insegue vendetta e redenzione, cercando di ristabilire dentro di sé un ordine turbato, ma non riuscendo a mettere a tacere le voci martellanti che gli ronzano in testa. Più che i ripetuti e non riusciti tentativi di suicidio, è il salvataggio di Nina e di tutte le altre giovani violentate prima di lei che diviene simbolico tentativo di sciogliere i propri sensi di colpa.
L’immensa interpretazione di uno Joaquin Phoenix sovrappeso, con la barba incolta e gli occhi e il corpo segnati dalla sofferenza, che comunica col linguaggio fisico più che con quello verbale, si sposa magnificamente con la potenza della regia della Ramsay. Ne deriva un’opera nervosa, concentrata sui primissimi piani e su un’attenzione quasi maniacale per il dettaglio, frammentata tra rievocazioni traumatiche ed esplosioni di violenza.
A Beautiful Day inquieta, trasmettendo una sensazione di tensione costante, accresciuta dalla splendida colonna sonora di Jonny Greenwood, che mescola ai rumori d’ambiente minacciose e stranianti sonorità elettroniche; ma soprattutto vive di immagini straordinarie, grazie alla prodigiosa fotografia di Thomas Townend, senza mai divenire inopportunamente estetizzante. Molte le sequenze che rimangono in testa, specie quelle in cui emergono, spesso inaspettatamente, l’umanità e la tenerezza di Joe, bambino perduto e borderline errabondo.
Violento, stilizzato, corporale, coraggioso: A Beautiful Day è un film che si ama o si odia, ma destinato a diventare un cult. Due premi a Cannes 2017: miglior attore e miglior sceneggiatura.
Alberto Leali