Performer, coreografo, creatore, Jonathan Redavid ha la danza nelle vene sin da giovanissima età. Eccellenza italiana negli Usa, ballerino per star del calibro di Jennifer Lopez, Selena Gomez, Christina Aguilera o Katy Perry, Jonathan è l’unico attore italiano nel musical, attualmente in sala, The Greatest Showman, con Hugh Jackman, Zac Efron, Michelle Williams e Rebecca Ferguson. Nel film di Micheal Gracey, fresco della vittoria ai Golden Globe per la canzone “This Is Me”, Jonathan interpreta Frank Lentini, l’uomo a tre gambe che il protagonista P. T. Barnum, interpretato da Hugh Jackman, coinvolge nel suo circo di freaks. Zerkalo Spettacolo ha intervistato il talentuoso artista, che ha raccontato il suo fortunato percorso professionale e la sua nuova esaltante esperienza cinematografica.
Jonathan, il tuo percorso nel mondo della danza inizia prestissimo, all’età di soli 4 anni. Quando ti sei realmente reso conto di poter trasformare la tua passione in un vero e proprio mestiere?
Esatto, prestissimo. I miei genitori mi hanno messo subito al lavoro e davanti a una telecamera, forse non avevo neanche 4 anni quando iniziai a girare le prime pubblicità. Un anno dopo iniziai a ballare e a dividere il mio tempo tra gare agonistiche e casting per pubblicità, film e televisione. Iniziai a fare i primi lavori come ballerino professionista all’età di 15 anni, mentre andavo ancora a scuola, e capii che quello sarebbe stato fin da subito il mio futuro da lì a poco.
Hai lavorato con celebri artisti della scena internazionale, da Jennifer Lopez a Christina Aguilera, da Selena Gomez a Katy Perry. Com’è iniziata questa splendida avventura?
E’ iniziato tutto dalla mia forte ambizione di puntare sempre più in alto, avevo 20 anni quando presi il mio primo aereo per NY per approfondire le mie conoscenze nel mondo della danza. Ero infatti molto autodidatta. Da allora, cominciai ogni anno, per 3 mesi, a visitare NY e LA, al fine di migliorare me stesso, studiare, studiarmi e cominciare a capire cosa c’era là fuori: un’altissima competizione. Dopo che partii per l’America la seconda volta, capii che era lì che volevo essere, per trovare la mia soddisfazione professionale e provare a fare diventare i miei sogni realtà. Misi da parte i soldi e feci molte altre esperienze in Italia, anche come coreografo. Feci la mia prima Visa, lasciai la casa che avevo appena comprato, la famiglia e gli affetti, e partii per questa magica esperienza. Cominciai senza dormire, senza pause, a fare anche 3 casting al giorno. Cominciai a fare di nuovo qualsiasi lavoro per mantenermi, e piano piano anche qualche lavoro come ballerino. Ma ricevetti moltissimi “no” prima di attirare l’attenzione di grandi produttori o recording artist. Dopo un anno e mezzo, ero già completamente inserito, cominciai a ballare con i primi big come Jennifer Lopez, e poi è stata una ruota che ha girato. Casting Director e direttori artistici mi chiamavano direttamente per lavorare in diverse produzioni. Bisogna essere se stessi, oltre che avere talento, e ovviamente si deve essere grandi lavoratori e professionisti: è questo che cercano.
Le tante star con cui hai lavorato come hanno accolto la tua italianità?
In America mi conoscono tutti come Ciccio, è il modo affettuoso con cui ho sempre chiamato i miei amici in Italia e ho continuato a farlo anche qui. Penso che la mia italianità sia stata una carta vincente sia nei rapporti interpersonali che professionali. Sono italiano e fiero di esserlo, con la coscienza di vivere in un altro Paese, con abitudini e usanze diverse: io imparo da loro e loro imparano da me, è sempre stato uno scambio di culture interessante. L’Italia è, penso, il paese più apprezzato dagli americani e così i suoi italiani, che hanno sempre fatto parte dell’America emigrando. Pensate che anche JLO mi chiama Ciccio! Mi dicono sempre “You are the stud” per la mia forte personalità e in modo scherzoso mi prendono in giro provando a imitare il mio accento italiano.
Vivi in America ormai da 7 anni e hai lavorato con un numero di artisti davvero sbalorditivo. Quali sono gli insegnamenti più preziosi appresi dalla tua fortunata esperienza americana?
Sicuramente che i sogni si possono vivere, che bisogna mettercela tutta e non scoraggiarsi mai. La vita è difficile per tutti, per altri ancora di più. Volere è potere: noi decidiamo cosa mangiare, come relazionarci con le persone, come vivere, cosa siamo. Alcune persone non sanno chi sono e cosa vogliono, magari lo scoprono più tardi, ma una volta che lo capiscono, devono correre e fare di tutto per realizzare i loro sogni. Il mondo delle gare mi ha insegnato, per oltre 15 anni, a essere persistente e a puntare sempre più in alto. Guardo indietro e mi sento pieno di gioia: e pensare che tutto questo, solo 5-6 anni fa, era solo immaginazione e mai avrei pensato di conquistare questi bei trofei! E non si tratta solo di riempire il curriculum con nomi di celebrità, bisogna rimanere sempre con i piedi per terra, godersi il momento ed essere pronti a svegliarsi quando tutto questo avrà una fine, perché una fine arriva per tutti. Basta esserne coscienti ed essere pronti per attutirne il colpo.
Cosa ti manca invece dell’Italia?
L’Italia mi manca sempre. Ci sono nato e cresciuto e penso che sia uno dei posti più meravigliosi al mondo. Abbiamo una forte cultura, unica. Mi reputo fortunato. Quando ne ho bisogno, invece di prendermi una vacanza per me e visitare posti dove non sono mai stato, torno sempre in Italia, per ritrovare la mia famiglia e i miei amici, per ridere, mangiare bene, fare un po’ di regali e, dopo essermi ricaricato, ritornare a Los Angeles.
Sei un performer, ma anche un coreografo e un creativo. In quale dei tre ruoli ti senti più a tuo agio?
Diciamo che, sin da piccolo, sono sempre stato davanti a una telecamera o abituato a ballare di fronte a migliaia di persone. Ma l’uomo è in evoluzione, ho cominciato a coreografare, già a 16 anni, dei miei piccoli show nei locali e molto presto anche dei programmi televisivi in Rai. In America ho dovuto rifare tutto da capo. Qui, negli ultimi tre anni, sono felice di essere stato coinvolto in molti lavori come coreografo. Diciamo che la mia carriera come performer sta piano piano svanendo ed è giusto così, ogni cosa ha il suo tempo e il suo percorso. La mia ambizione oggi è puntare alla regia. So che lavorando si può arrivare anche lì, chi lo sa! Mi trovo perfettamente a mio agio in tutti e tre i ruoli. Ma è giusto dare spazio ai giovani performers: ce ne sono tanti e di bravissimi.
Abbiamo potuto apprezzarti di recente in The Greatest Showman, un musical travolgente sia per musiche che per coreografie, in cui, oltre a ballare, sei anche attore. Peraltro, unico italiano scelto dal regista Michael Gracey al fianco di un cast all star. Com’è stata questa esperienza?
Conoscevo Michael Gracey già da 3 anni, ma mi sono avvicinato maggiormente a lui grazie a questo film, a cui ho avuto la fortuna di collaborare anche dietro le quinte. Un’esperienza stupenda, che ha ampliato la mia conoscenza nell’ambito della produzione. È stato magico e sbalorditivo vedere in azione una vera macchina di lavoro ad Hollywood. Ovviamente essere in prima fila a collaborare e a vedere Hugh Jackman e Zac Efron all’opera sul set è stata una scuola: un’esperienza che non dimenticherò mai.
Un ruolo faticoso, visto che il tuo personaggio, realmente esistito, ha tre gambe. Come ti sei preparato? Hai aggiunto qualcosa di tuo per interpretare il ruolo?
Esatto, essendo membro del team creativo, ho vissuto con il regista per 9 mesi a NY e ho usufruito del prezioso contributo di una persona a me molto cara, l’eccezionale performer di burlesque Janet Fischietto, specializzata in arte e storia circense di fine 800 e inizi 900. Ho pensato che interpretare Frank Lentini fosse perfetto per me. Era italiano e in più aveva tre gambe, una qualità e una sfida che mi stimolavano molto. Pensavo che sarebbe stato affascinante averlo nel film, peraltro era uno dei caratteri più discussi nel circo di Barnum. Ho cominciato a raccogliere foto del suo aspetto e dei suoi abiti e iniziato a immaginare come portare in scena il suo carattere. Con il reparto effetti speciali abbiamo progettato una protesi attaccata ad un’imbracatura molto rigida che indossavo sotto il costume per simulare la terza gamba. Non potevo andare in bagno per ore, non potevo piegarmi in avanti e avevo più di 8 kg di peso che pendevano dalla parte destra del corpo. Ero molto limitato nei movimenti ma ho messo nel personaggio tutto me stesso, immaginando cosa potesse fare una persona con 3 gambe completamente funzionanti sin dalla nascita.
Ti piacerebbe ricoprire nuovamente il ruolo di attore? Magari non necessariamente in un musical?
Come vi dicevo prima, la mia carriera come performer sta pian piano svanendo per volontà di ambire a qualcosa che mi faccia sentire più realizzato, come la coreografia e la regia. Ma non nego che ho gioito tutta la vita nell’arte performativa e che creare e interpretare un carattere è molto soddisfacente. Non dico mai “NO” alle possibilità, le valuto sempre: se mi chiamassero per un altro film e si trattasse di qualcosa d’interessante e motivante non credo che rifiuterei la proposta.
In The Greatest Showman hai anche realizzato le sequenze visive dell’opening e del closing number. Da cosa ti sei lasciato ispirare?
Ho avuto la fortuna di creare insieme ad altre due persone le sequenze visive e di coordinare tutti gli elementi coreografando le camere e i soggetti presenti. In realtà arriva tutto dalla fantasia, sono una persona che sente molto il mood delle giornate e dell’ambiente. Per creare devi essere libero ed è difficile farlo con molte pressioni attorno. Soprattutto quando si tratta di qualcosa di importante come questo. In quei giorni stavo bene, ero felice e in pochissimo tempo abbiamo buttato giù tutte le idee che riguardavano l’opening act. Le musiche del film sono eccezionali, quindi è stato facile essere ispirati da una fonte così forte. Ma anche dai movimenti di Hugh Jackman, dagli staging dei performers, dagli acrobati e dagli animali costruiti in post produzione che si muovevano in simultanea con la camera. E ancora di più da effetti speciali, luci, atmosfera e colori.
Quali consigli ti sentiresti di dare ai giovani che sognano il mondo dello spettacolo?
Io consiglio sempre di resistere alle circostanze esterne. Mi spiego meglio: il mondo dello spettacolo, soprattutto in Italia, non è considerato seriamente un mestiere. Amici o familiari fanno di solito un altro lavoro, quindi ti senti solo, sfiduciato e pensi di star perdendo tempo. Allora cominci a non crederci più e alla fine lasci stare. Io dico NO, non è così! Non sono l’unico! Sono io che decido per me stesso! Ci sono persone che desiderano diventare ingegneri, architetti, medici, e che dopo una vita di sacrifici passata sui libri ce la fanno. Ci sono tanti mestieri molto difficili. Il mondo dello spettacolo è uno di questi. Ma tutto è possibile se lo vuoi. Se non apri quella porta, non saprai mai cosa c’è dietro; magari ci saranno mille altre porte che costituiranno le esperienze della tua vita. Non puoi immaginare che fatica sia salire 1000 gradini, ma nemmeno che bellezza sia quello che puoi vedere da lassù e come senti il tuo cuore in quel momento! Tu sei quello che decidi di essere. Tu sei la tua felicità e il tuo futuro.
Alberto Leali e Roberto Puntato