Premiato dal puntuale tutto esaurito delle platee durante la sua lunga tournée italiana e salutato da uno straordinario successo di critica e di pubblico, lo spettacolo torna in scena dal 15 al 27 ottobre
Con tre premi alla regia per Massimo Popolizio (Ubu, Critica e Le Maschere) e alle spalle una lunga tournée italiana salutata da un successo straordinario e dal tutto esaurito delle platee, torna per la quarta volta in stagione, dal 15 al 27 ottobre al Teatro Argentina, Ragazzi di vita, vero e proprio kolossal di vitalità anarchiche che fa muovere su un palcoscenico nudo lo sciame struggente dei “borgatari” di Pier Paolo Pasolini.
Nato nel 2016, a quarant’anni dalla morte del grande intellettuale e genio poetico, lo spettacolo è stato il primo adattamento del romanzo per il palcoscenico con la drammaturgia di Emanuele Trevi, che restituisce con aderenza il lirismo e la ferocia della lingua pasoliniana, un dialetto romanesco inventato.
Divenuto fin dal suo debutto un caso teatrale, potente e comunicativo, preso d’assalto da un pubblico entusiasta ampio ed eterogeno, Ragazzi di vita continua a portarci dentro le pagine di un’umanità vivida e dolente attraverso la speciale energia scenica dei diciannove interpreti dei giovani sottoproletari, nella loro furiosa, impulsiva, struggente lotta con la quotidianità.
A guidare il vasto repertorio di personaggi in questo affresco dove le vicende si alternano suddivise in diversi episodi e archi temporali, è la regia di Massimo Popolizio che ci porta “dentro” le giornate dei giovani sottoproletari.
«I “ragazzi” di cui parla Pasolini sono persone che lottano con la quotidianità. Una vitalità infelice, la loro, e la cosa più commovente in quest’opera è proprio la mancanza di felicità – così Popolizio racconta il suo Pasolini – I “ragazzi di vita”, più in generale, sono un popolo selvaggio, una squadra, un gruppo, un branco di povere anime perdute ritratte nei dettagli del testo, «cammini con le scarpe scarcagnate a viso in giù… se ne sta appeso così, con gli occhi scintillanti come du’ cozze». Ma dal ritratto bisogna togliere la sociologia, il riferimento nostalgico a un popolo inurbato che Pasolini osservava già sul crinale della sua scomparsa. C’è la figurazione di qualcuno che non c’è più nella realtà, ma che esiste attraverso il teatro, nel corpo dell’attore, che è l’unica attualizzazione possibile. Non si tratta di ricreare l’emozione del bianco e nero di Accattone, quell’emozione è semplicemente inimitabile, bisogna crearne un’altra. Così come bisogna guardarsi da quell’altro errore che è la cosiddetta “riattualizzazione”. Ragazzi di vita è un romanzo intriso di musica, anzi di canto e di canzoni. E sulla nostra scena si canta in continuazione. Siamo in quell’aria, in quell’aere, che la voce di Claudio Villa ha depositato nel tempo, che a Roma è stato quasi un modo di atteggiarsi nella vita, prendendosi in giro».
Su tutti, a fare da tessuto connettivo tra le storie del romanzo, la figura del narratore che si aggira come uno “straniero” in visita a rendere possibili e visibili tutte le scene, Lino Guanciale. Un osservatore che a tratti si fa mediatore fra noi che guardiamo dalla platea e la vita che si stende sull’immenso palcoscenico vuoto.
«Da una parte ci sono i ragazzi immersi in quello che fanno, e incapaci di vedere oltre alle immediatezze che li tengono impegnati – continua Emanuele Trevi – Dall’altra c’è questo straniero che li spia, e che a differenza di loro vede tutto, parla di Roma come se la sorvolasse come un uccello rapace o un drone. Ma non si accontenta di rimanere lassù. È attratto dal basso, dove brulicano le storie. E in queste storie è sempre presente, perché è lui a farle iniziare, a colmarne le reticenze, a rimetterle in carreggiata quando i loro protagonisti sembrano dimenticarsi di quello che stavano facendo e dicendo».
L’indiscusso mattatore della scena, Massimo Popolizio, ritorna in scena al Teatro Argentina (dal 17 al 26 gennaio) con un’altra produzione premiata dal tutto esaurito delle platee, Un nemico del popolo di Henrik Ibsen, applaudito da oltre 17.000 spettatori nella passata stagione.
Inoltre, con Popolizio legge Belli, il regista regala al pubblico dell’Argentina una serata-evento (il 30 dicembre), tra i versi affilati, cinici, rivoluzionari del cantore della Città Eterna più acclamato di tutti i tempi, Gioachino Belli. Per la nuova produzione, invece, Popolizio sceglie di affrontare Furore di John Steinbeck, in prima nazionale al Teatro India (dal 19 novembre al 1° dicembre): un capolavoro della narrativa americana scritto nel 1939 e da subito divenuto un best-seller, che il regista propone al pubblico in una sorta di “conferenza – spettacolo”, sempre su drammaturgia di Emanuele Trevi, una prima tappa di lavoro che condurrà ad una futura produzione.