Un uomo misterioso e senza nome (Valerio Mastandrea) siede ogni giorno allo stesso tavolo di un ristorante, ricevendo le visite di otto personaggi, che gli chiedono di esaudire i loro desideri. Per l’uomo tutto è possibile, ma c’è sempre un prezzo da pagare.
Fino a che punto siamo disposti a spingerci per ottenere ciò che vogliamo? Quali sono i confini etici e morali dei nostri desideri? Sono questi gli interrogativi che ci pone The Place, la nuova fatica di Paolo Genovese, dopo il successo mondiale di Perfetti sconosciuti.
Un unico luogo, chiuso e anonimo. Nove personaggi, otto desideri richiesti, otto prezzi da pagare. Un uomo pronto a realizzarli, non importa di che tipo di richiesta si tratti, ma mai senza conseguenze. Ogni visitatore può decidere liberamente se accettare o meno, perché libero di andar via e di lasciare che le cose rimangano come sono.
Film di chiusura della 12a edizione della Festa del Cinema di Roma, The Place è un cinema tutto di scrittura, fatto di campi e controcampi; teatro filmato, che esalta le performance dei migliori attori italiani in circolazione. La cornice di queste storie, che viviamo solo attraverso le parole dei protagonisti, è ben più cupa di quella di Perfetti sconosciuti: perché in The Place non si sorride, ma si riflette; non si guarda, ma si immagina.
Tratto dalla serie tv The Booth at the End di Christopher Kubasik, The Place è un’opera ambiziosa e meno agevole dei precedenti lavori di Genovese, poiché si apre a riflessioni più alte e complesse, indagando sul significato e sui confini del male.
The Place scava nel buio delle anime, non solo dei suoi personaggi, ma anche delle nostre. Non lo fa con le azioni, ma con i dialoghi, lunghi e dettagliati, che costruiscono gradualmente i personaggi che si susseguono al tavolo, e con i volti dei suoi attori, da cui emergono paure, dubbi, esitazioni, contraddizioni, dolori, speranze.
Bravissimo, in particolare, Valerio Mastandrea alle prese con un ruolo di grande complessità: i suoi occhi stanchi, le sue frasi apparentemente atone e lapidarie, i suoi piccoli ma significanti movimenti, raccontano un personaggio a volte inquietante, a volte pieno di pietas.
Eppure c’è qualcosa che non ci ha convinti in The Place. Manca il respiro drammaturgico, manca l’emozione; spesso a dominare sono la noia e la ripetitività e la staticità delle situazioni a lungo andare pesa. L’esercizio di stile di Genovese, seppur affascinante, resta freddo e troppo fine a se stesso.
Alberto Leali