L’uomo di neve è l’atteso film tratto dal settimo libro dello scrittore norvegese Jo Nesbø, con protagonista Harry Hole, poliziotto ruvido, tormentato, con problemi di alcolismo, ma determinato e dal grande fiuto investigativo.
Il ruolo di questo interessante e classico antieoe da B movies viene affidato a Michael Fassbender, che dà al solito prova di essere attore di razza, offrendo un’interpretazione valida, anche se non tra le sue migliori. L’uomo di neve non è stato, però, un film dalla facile realizzazione: affidato in un primo tempo alla regia di Martin Scorsese, per una serie di traversie produttive, è passato alla guida del talentuoso svedese Tomas Alfredson (Lasciami entrare, La talpa), che gli conferisce un’inconfondibile, e un po’ cartolinesca, impronta nordica. L’aspetto più fascinoso di L’uomo di neve è, infatti, l’ambientazione in una Oslo solitaria, invernale, notturna e innevata (bella la fotografia di Dion Beebe), che gli conferisce un’atmosfera di placida inquietudine.
La trama è complessa, coinvolgente e piena di personaggi, e narra di misteriose sparizioni di donne con figli e famiglie infelici, ritrovate poi smembrate su scene del crimine che hanno come unico indizio un pupazzo di neve. Hole si metterà a caccia del brutale serial killer, aiutato dalla intelligente e inquieta recluta Katrine Bratt (Rebecca Ferguson).
Storie che si intrecciano, indizi che si accumulano, misteri che sembrano chiarirsi per poi nuovamente infittirsi: l’andamento e lo stile sono quelli più classici del thriller, il finale, abbastanza improbabile ma non certo imprevedibile, è molto da film d’azione americano. Se c’è un aspetto che non funziona è però soprattutto il disegno un po’ troppo sbrigativo e poco caratterizzante dei personaggi, che rimangono tutti alquanto anonimi e non lontani da molti altri visti spesso in panni simili. L’impressione è che la narrazione cartacea, nel passaggio a film, sia stata privata delle sfumature e dei dettagli che le conferiscono il suo peculiare quid pluris, divenendo fin troppo generica e ordinaria. Se restano qualche incertezza e ambiguità, sono più attribuibili a confusione di scrittura che a effettive svolte della trama; peraltro diversi intrighi vengono risolti, specie verso il finale, troppo frettolosamente.
Ciò nonostante, L’uomo di neve è un film godibile e dalla buona tensione, ma da cui sicuramente ci si aspettava di più, specie considerate le ottime premesse (peccato vedere un cast di grandi attori sfruttato non proprio al meglio). Sicuramente, piacerà più a chi non ha mai letto Nesbø che ai suoi fan adoranti.
Alberto Leali