Una sorprendente esperienza teatrale quella a cui abbiamo assistito ieri al Teatro Vascello di Roma, dove è in scena, fino al 5 marzo, ‘Lo straniero-Un’intervista impossibile’, spettacolo tratto dal capolavoro di Albert Camus e prodigiosamente interpretato da Fabrizio Gifuni, salutato con una meritatissima onda di applausi finale. Gifuni continua il suo percorso personalissimo e impervio nel mettere in scena non solo le opere, ma soprattutto le anime, degli scrittori che ama, in quelle che si possono definire delle vere e proprie sfide teatrali che vedono l’attore dare letteralmente corpo e vita alla carta stampata (non a caso ‘L’autore e il suo doppio’ è il titolo del ciclo di quattro spettacoli che porta in scena al Vascello dal 2 al 12 marzo). Impresa di estrema difficoltà se si considerano gli scrittori con cui Gifuni sceglie di confrontarsi: dopo Gadda, Pavese e Pasolini, l’artista si cimenta ora con l’universo inquieto, alienante, frustrante, irrazionale di uno dei massimi scrittori e filosofi del ‘900. ‘Lo straniero’ (1942), per le sue tematiche esistenzialiste, è uno dei romanzi più celebri di Camus e ruota attorno al fascinoso e inquietante personaggio di Mersault, chiuso nella sua indifferenza verso il mondo e verso i sentimenti, che commette un omicidio quasi per caso e senza provare alcun rimorso. Non è facile portare in scena un personaggio così complesso, che riflette la mancanza di senso dell’esistere, l’assurdità della condizione umana, la assenza di legami umani profondi e la conseguente insanabile solitudine, l’estraneità del vivere e quindi la noia che inevitabilmente ne deriva. Gifuni ci riesce miracolosamente, bissando quella impresa titanica in cui Camus era riuscito a sua volta col suo romanzo: descrivere l’esistenza come qualcosa di insondabile ma che semplicemente accade. Attraverso il fascino magnetico della voce dell’attore siamo trasportati fra le strade di Algeri dove si svolge la vicenda: ci sembra di toccare gli oggetti, di vederne le luci, di delineare gli ambienti e i personaggi, di sentire il calore soffocante che ci invade implacabile. Gifuni è in scena vestito interamente di bianco e ha davanti a sé un leggio e una luce che lo illumina, ora più forte, ora più fioca. Dietro di lui c’è solo il sound designer Gup Alcaro che propone un’ambientazione sonora accuratissima e che sollecita i sensi del pubblico attraverso suoni provenienti dal traffico, dalle onde, dal vociare, dalle porte che si aprono e chiudono e da canzoni ispirate direttamente all’opera di Camus di gruppi come i Tuxedomoon o i The Cure. Gifuni non mette in scena una mera identificazione del personaggio di Mersault, ma ci trasmette l’inquietudine malsana, il senso di stordimento e di malessere, l’apatia ingiustificata, la tensione costante che Camus ha impresso sulla carta. La sua voce diviene l’anima perduta, rassegnata, vuota di Mersault: il suo corpo suda, soffre, si contorce; il suo sguardo è totalmente smarrito. Attraverso la potenza di quella voce, attraverso i movimenti incostanti del suo corpo, condividiamo con lui il disagio di quel mondo distaccato, incerto, casuale, abietto: la distanza fra attore e spettatore è completamente annullata e ciò che accade in scena (e nel testo) lo si vive realmente.
‘Lo straniero- Un’intervista impossibile’ è uno degli spettacoli più belli e importanti visti a teatro negli ultimi anni e Gifuni si conferma uno dei più talentosi e raffinati attori in circolazione: il risultato è che si resta incantati e bloccati alle poltrone per 75 minuti. Attendiamo con impazienza le prossime tappe del viaggio dell’artista, che proseguirà, sempre al Vascello, con ‘Ragazzi di vita’ di Pasolini, ‘Il dio di Roserio’ di Testori e l’omaggio a Cortazar e Bolano d ‘Un certo Julio’.
Alberto Leali