Nello smartphone del timido adolescente Alex, c’è la coloratissima cittadina di Messaggiopoli, abitata da emoticon diligenti, pronte ad accendere le loro emozioni, non appena selezionate dall’utente. Gene è un emoji “bah”, come i suoi genitori, ma, al contrario degli altri abitanti di Messaggiopoli, è l’unico a non avere un’unica espressione, e per questo considerato difettoso. Il giovane Alex, credendo che il suo telefono abbia un’anomalia, si prepara a formattarlo, creando il panico tra i minuscoli abitanti digitali. Inizierà per Gene un avventuroso viaggio/fuga attraverso le app dello smartphone, perseguitato dalla perfida Smile, direttrice delle operazioni di messaggistica, e accompagnato da Gimme-5, emoji caduta in disuso, e Rebel, hacker che sogna di fuggire nel Cloud.
Negli anni del boom della messaggistica istantanea, la Sony Pictures Animation sforna Emoji- Accendi le emozioni, cartoon incentrato su uno degli strumenti più utilizzati in assoluto per la comunicazione tramite internet. Minuscole immagini che hanno il compito di comunicare uno stato d’animo, una sensazione, un gesto: un insieme, nel corso degli anni sempre più variegato, di caratteri e personalità. Ma anche un contesto soggetto al continuo cambiamento, tra emoticon ormai passate di moda e altre che impazzano sulle tastiere. Ed è proprio al mondo degli emarginati che guarda Emoji, scegliendo come protagonisti tre personaggi additati come “diversi” e per questo da mettere al bando o da distruggere. Il set di tutta la storia è ovviamente il ricchissimo universo digitale dei telefoni cellulari, dove le emoji vivono la loro quotidianità in piccole cellette, aspettando, con ansia, di essere scelte. L’individualità non esiste, o meglio non deve esistere, perché rischia di minacciare la tranquillità e la funzionalità di Messaggiopoli. Ecco, dunque, che un emoji “bah” deve rimanere tale anche quando gli scappa da ridere o arrossisce o gli viene da piangere: un po’ quel che accadeva in altri due cartoon di grande successo, Ralph Spaccatutto e Inside Out, i cui eroi erano costretti a sottostare a una caratterizzazione obbligata. Nel film assistiamo ai tentativi di Gene di spersonalizzarsi, dimostrando di essere un buona emoji “bah”: ma sforzarsi di non essere se stessi è spesso difficile e non sempre positivo. Il viaggio di Gene sarà, quindi, un vero e proprio percorso di crescita e di formazione, che gli insegnerà ad apprezzare i valori della diversità e dell’amicizia; in parallelo, si assiste alla crescita di Alex, che acquisirà fiducia in se stesso e negli altri.
Un cartoon semplice e coloratissimo, che piacerà molto ai più piccoli, ormai avvezzi al mondo digitale più degli adulti, ma che induce anche a riflettere su quello che è, e deve restare, un mezzo per esprimersi, e non qualcosa di cui subire passivamente il controllo.
Alcune sequenze sono azzeccate per l’ironia sagace, il citazionismo cinematografico e la parodia divertita di meccanismi nerd ormai entrati prepotentemente nelle nostre vite; altre risultano meno riuscite e divertenti a causa di alcuni snodi un po’ stiracchiati della sceneggiatura.
Il design dei personaggi e del mondo dello smartphone in cui si muovono (le app che più utilizziamo ci sono tutte, da Spotify a Candy Crush, da Just Dance a Dropbox) sono resi con una buona modellazione e un ritmo spigliato. Un cartoon affatto nostalgico, ma, anzi, a suo mondo, un concreto documento di questi anni.
Alberto Leali