Giovanna è la fondatrice di un centro ricreativo nella periferia di Napoli, al riparo dal degrado e dalle logiche mafiose della città. Qui cerca rifugio Maria, la giovane moglie di un camorrista arrestato per un brutale omicidio, assieme alla figlioletta Rita. Le madri dei bambini che frequentano il centro si oppongono alla sua presenza, mettendo Giovanna dinanzi a una scelta difficile: continuare ad accogliere l’intrusa o allontanarla?
Dopo il bellissimo “L’intervallo”, Leonardo Di Costanzo fa di nuovo centro con “L’intrusa”, film in concorso alla Quinzaine des réalisateurs di Cannes 70, che conferma la sua spiccata sensibilità autoriale per tematiche di grande urgenza sociale e morale.
Ancora una volta il regista racconta un quartiere, una città, ma anche la società in un dato momento storico. Lo fa attraverso la figura di una donna che lavora nel sociale, quotidianamente sottoposta al banco di prova della realtà e delle sue scelte. Giovanna è una donna forte, indipendente, forse sola, che ha scelto di dedicare la vita ai più deboli, per concedere loro un futuro diverso dal loro presente brutale e ingiusto. Un’eroina della contemporaneità, come la definisce Di Costanzo, che opera in un delicato luogo di frontiera, in cui è ben difficile scindere i concetti di giusto e di ingiusto, di permesso e di divieto. “L’intrusa” è un film sulla convivenza, sull’accoglienza, sulla paura, sulla diffidenza, sulla tolleranza, sulla comprensione. Sono tanti i temi toccati da Di Costanzo, che spinge lo spettatore a mettersi in relazione con due diversi tipi di visione, una personale (Giovanna) e una di gruppo (le madri, le insegnanti, il preside ecc.), senza connotarli con il solito dualismo buono/cattivo. Già, perché tutti hanno le loro ragioni ne “L’intrusa” e tutte sono condivisibili. Giovanna, interpretata dalla coreografa Raffaella Giordano, è un personaggio evidentemente estraneo al contesto in cui è calato: è di estrazione borghese, non parla il dialetto del luogo, non si sa molto sulla sua provenienza o sul suo passato. E’ comprensiva, ma soprattutto ferma e distante, per proteggersi dal rischio di empatizzare troppo con i drammi dei suoi ospiti. Giovanna accoglie la richiesta di aiuto di Maria, nonostante i modi scontrosi e violenti di quest’ultima, un animale ferito, che va a nascondersi in un luogo protetto, per capire che piega dare alla propria vita così prematuramente segnata. “L’intrusa” racconta, quindi, anche il confronto fra queste due donne così diverse, che però riescono a comunicare oltre la parola, leggendo solo i segnali del cuore. E’, infatti, un film di grande umanità, che tocca corde profonde dell’animo con una sobrietà e una semplicità ammirevoli. La grande capacità di Di Costanzo è nel contrasto tra il minimalismo della messinscena e la capacità delle immagini di evocare mondi interi: il regista si prende il rischio di chiudere l’intero film nella masseria/centro di accoglienza, indagandone le dinamiche e raccontando dall’interno tutto ciò che resta fuori il muro di cinta. La scrittura è rigorosa, ma lascia spazio, come i precedenti lavori del regista, all’improvvisazione, affidandosi a un cast di attori non professionisti e alla loro immediatezza vitale.
Nessun cedimento alla retorica, ma ogni soluzione narrativa e visiva è potente, carica di senso e di sfumature. Un film assolutamente da non perdere.
Alberto Leali