Un’isola quasi deserta della Sicilia, un matrimonio imminente da organizzare e un uomo e una donna, ciascuno con le proprie cicatrici, che si attraggono e si respingono, un po’ per paura, un po’ per borghesismo. Sono questi i pochi ma pregnanti elementi che il regista Rolando Colla utilizza nel suo raffinatissimo ‘7 giorni’: un film sull’amore (o meglio sulla capacità di amare), sulla rassegnazione e sul ritorno alla vita. Sfruttando abilmente il territorio aspro e bellissimo dell’isola di Levanzo e i volti e i corpi appassionati di Bruno Todeschini e Alessia Barela, Colla imbastisce un racconto intimo e profondo, che cerca, quasi maniacalmente, l’autenticità e la spontaneità.
Lo fa non solo attraverso la recitazione naturalistica dei protagonisti (da applauso Todeschini), ma anche tramite la scelta di numerosi attori locali non professionisti, la ricerca di un senso di quotidianità che mai risulti artificioso e una sceneggiatura che pare costruirsi gradualmente, facendo emergere, con piccoli ma efficaci tocchi, il passato, le paure, i dolori e le speranze dei personaggi.
Un film preciso nel mettere a nudo l’anima e il sentire dei protagonisti, ma anche il contesto antropologico in cui si trovano ad agire: le tradizioni, le facce, la cucina, i suoni di un’isola in cui pare che il tempo si sia fermato e quasi mortifera nella sua placida stasi. Eppure è proprio in quest’isola che la vita trova il nascondiglio delle paure e richiama prepotentemente all’azione.
Un film spudoratamente autoriale e sentimentale, molto francese per storia e atmosfera quanto inedito nell’attuale panorama cinematografico italiano.
Un film da vedere e da diffondere. Per coloro che hanno ancora voglia di quel cinema che sa parlare al cuore.
Alberto Leali