Diretto da Guillaume Senez, arriva al cinema dal 30 aprile distribuito da Teodora
Guillaume Senez torna sul grande schermo con Ritrovarsi a Tokyo, un dramma intimo e potente che racconta la storia di Jerome, detto Jay (Romain Duris), tassista francese trapiantato in Giappone, ma soprattutto padre separato determinato a ricongiungersi con la figlia Lily (Mei Cirne-Masuki) che non vede da nove anni. In un paese come il Giappone, dove la legge sull’affido esclude la possibilità della custodia congiunta e favorisce sistematicamente il genitore giapponese, la speranza di Jay è appesa a un filo.
Armato solo del suo taxi e della conoscenza acquisita di Tokyo, Jay percorre ogni angolo della città nella speranza di rivedere la figlia. Al suo fianco c’è Jessica (Judith Chemla), anche lei madre europea separata, anche lei in cerca di un figlio perduto. Insieme cercano vie alternative, più umane, per superare un sistema che appare ostile e impenetrabile.
Senez ci regala un racconto toccante, sospeso tra il dramma esistenziale e la denuncia sociale. La sua regia evita la trappola del melodramma, scegliendo invece una narrazione asciutta, fatta di sguardi, silenzi e piccoli gesti. Romain Duris, qui diretto per la seconda volta dal regista dopo Le nostre battaglie, offre un’interpretazione intensa e misurata, carica di dolore trattenuto e malinconia. Il suo Jay è un uomo consunto dalla perdita, ma ancora capace di tenere viva la fiamma della speranza.
Ritrovarsi a Tokyo mette in discussione l’immagine idealizzata del Giappone efficiente e spiritualmente sereno, mostrando il lato più rigido e impenetrabile del sistema burocratico nipponico. Nonostante la fotografia suggestiva restituisca tutta la bellezza della metropoli, ciò che emerge con forza è il senso di alienazione di uno straniero costretto a vivere in una terra che lo respinge, trattenuto solo dall’amore per una figlia mai dimenticata.
L’incontro fortuito tra Jay e Lily, ignara dell’identità dell’uomo al volante del taxi, è costruito con una delicatezza straordinaria. Nulla è urlato, tutto è suggerito, e proprio per questo emoziona profondamente. Senez riesce ancora una volta a parlare di paternità, identità e appartenenza con una sensibilità rara, mettendo in luce un problema poco raccontato: la condizione dei genitori stranieri in Giappone e la quasi totale impossibilità di mantenere un rapporto con i propri figli in caso di separazione.
Il film riesce a bilanciare con sensibilità l’importanza del tema trattato e la complessità emotiva del protagonista, mantenendo sempre un punto di vista profondamente umano, anche nei momenti più difficili. La figura di Jay, che sceglie di restare, imparare la lingua, integrarsi e combattere contro un destino che sembra già scritto, è quella di un uomo che resiste in nome dell’amore più puro: quello per sua figlia.
Senez firma un film struggente e pieno di dignità, che colpisce dritto al cuore senza mai ricorrere a facili soluzioni narrative. Un’opera sincera, capace di accendere una luce su una realtà spesso taciuta, e di farlo con grazia, precisione e profondità emotiva.
Maria Grande