La compagnia francese di teatro itinerante Davai è ormai da molti anni intenta a portare in giro, tra non poche difficoltà, una gioiosa rivisitazione de ‘L’orso’ di Checov. Stavolta però le cose sembrano mettersi davvero male e il gruppo rischia di sciogliersi, mettendo a dura prova i consolidati ma controversi rapporti fra i suoi componenti. Vincitore della 52ma edizione del festival di Pesaro, Les ogres è il secondo lungometraggio della regista transalpina Léa Fehner, che attingendo dalla sua autobiografia (i genitori, anche attori del film, sono dei veri artisti itineranti) mette in scena le vicende di un rumoroso e rutilante gruppo di teatranti girovaghi alle prese con i loro difficili equilibri emotivi e professionali. Un film libero e arioso, che sembra apparentemente scevro da una struttura narrativa ben definita e che sembra crearsi quasi per caso, dando seguito agli imprevisti e alle vicissitudini della vita. Sembra spesso di vedere un film di Kechiche durante la visione di Les ogres, con i suoi dialoghi fluviali e fittissimi, con quel naturalismo attento a cogliere ogni singolo sussulto dello sguardo e del cuore dei personaggi, con quello sguardo pieno di amore e partecipazione con cui si seguono le debolezze e i dolori di una umanità provata ma pur sempre pronta a vivere appieno le gioie inattese del quotidiano. Viene in mente anche il bel film di Mathieu Almaric, Tournée (2010), in cui si narrano le avventure on the road di una compagnia di burlesque alle prese con le numerose difficoltà di portare in scena uno spettacolo visto con sospetto da molti. Insomma, il cinema francese è un vero esperto nel raccontare storie di questo tipo, e soprattutto ha già più volte e con successo filmato, tramite il mezzo cinematografico, un mondo così vivido, sfaccettato e complesso come quello del teatro, nelle sue innumerevoli forme (da Les enfants di paradis, a Vanya sulla 42ma strada, a La schivata, ecc). La Fehner aggiunge pertanto il suo riuscito tassello a una tradizione florida e ben consolidata, che omaggia e racconta gli sfrenati dinamismi e le fragili armonie di un microcosmo da molti tanto amato eppure da altrettanti troppo spesso trascurato. E così tra alcool e musiche assordanti, vestiti piumati e coloratissimi, promiscuità e amicizia, rancori e cose mai dette, pianti e tenerezza, lo spettatore viene travolto da questo mondo folle e iperdinamico, affezionandosi inequivocabilmente ai suoi clown fragili e ai margini, che diventano nostalgico emblema di una realtà ormai prossima all’estinzione. In bilico fra dramma, farsa e commedia, la Fehner si dimostra capace di gestire un complesso racconto corale, donando respiro e forza a una dolente, disordinata e poetica realtà che vuole renderci teneramente vicina. Ottimo anche il cast, che comprende, oltre ad alcuni dei veri famigliari della regista, la Lola Duenas già vista in diversi film di Almodovar (Volver, Gli abbracci spezzati, Gli amanti passeggeri) e la giovane Adele Haenal, apprezzata di recente ne La ragazza senza nome dei fratelli Dardenne.
Alberto Leali.