Un’opera che mescola generi e culture con maestria, portando il kung fu a Roma. In anteprima l’8 marzo e al cinema dal 13 marzo con PiperFilm
Con La Città Proibita, Gabriele Mainetti dimostra ancora una volta il suo talento nel mescolare tradizioni cinematografiche distanti e nell’osare con storie mai banali. Un film che parte dal kung fu e dall’epica della Cina, ma si sviluppa tra le vie di Roma, spingendo al massimo le potenzialità del cinema popolare per raccontare non solo un’avventura, ma anche una storia di integrazione, lotta e rinascita.
Il prologo è coinvolgente, subito seguito da un’intensa e ben coreografata sequenza di arti marziali che presenta Mei, la protagonista. Una giovane donna inarrestabile, impegnata nella ricerca della sorella scomparsa e capace di maneggiare il kung fu con una maestria che richiama i grandi miti orientali. Ma La Città Proibita non è solo un film di azione; è anche un racconto viscerale di affetti e vendetta, dove la violenza marziale si mescola a momenti di grande emozione.
La forza del film risiede nella sua capacità di unire mondi apparentemente lontani, come la Cina e Roma, il kung fu e i sentimenti, in un flusso narrativo che non si perde mai. La storia di Mei, che affronta il male in nome della giustizia, diventa anche un viaggio tra le diversità culturali, ben rappresentate dal contrasto tra il ristorante cinese del malavitoso Wang, cuore del crimine del film, e il tradizionale locale italiano “Da Alfredo”. Qui Mei incontrerà Marcello, il figlio del proprietario, coinvolto nel destino della sorella scomparsa.
La convivenza delle diverse culture, simbolizzata dai due protagonisti che si innamorano, non è solo una mossa narrativa ma un messaggio potente. Non è un caso che Mainetti, pur senza dare risposte preconfezionate, riesca a rappresentare il nostro presente, dove le etnie e le tradizioni si intrecciano, convivendo in un mix che porta arricchimento. Il film lo fa senza mai essere forzato, ma con una naturalezza che lo rende reale, come le strade di Roma dove si fonde la vitalità di un rione multietnico come l’Esquilino.
Un altro aspetto che colpisce in La Città Proibita è la sua abilità nel mescolare generi diversi, dalla commedia al dramma, passando per l’azione pura. L’umorismo è genuino e si inserisce perfettamente in un racconto che non teme di osare, tanto nelle scene di lotta quanto nei momenti più intimi. In questo, Mainetti si conferma un regista che sa come giocare con il ritmo e le sfumature, riuscendo a passare da un registro all’altro senza mai perdere il filo narrativo.
In particolare, la qualità delle scene d’azione è notevole. Mainetti sa come rendere l’arte del kung fu non solo spettacolare, ma anche credibile, scegliendo una fotografia che esalta ogni movimento, e dando vita a combattimenti che sembrano trarre forza dalla geografia stessa del film, con il contrasto tra luoghi angusti e aperti che diventa quasi una metafora del conflitto interiore dei personaggi.
Se c’è una novità rispetto ai precedenti lavori di Mainetti, è l’assenza di quella “esagerazione” che caratterizzava Jeeg Robot e Freaks Out. La Città Proibita è un film più misurato, ma altrettanto potente nella sua forza visiva e narrativa. La regia è precisa, mai sopra le righe, ed è accompagnata da una sceneggiatura che costruisce l’intreccio con sapienza, alternando tensione e momenti di leggerezza, senza mai perdere il tono drammatico.
Il cast de La Città Proibita è altrettanto riuscito. Enrico Borello e Yaxi Liu, nei ruoli di Marcello e Mei, sono la vera sorpresa del film: non sono semplici interpreti, ma diventano i volti credibili di un amore nascente e di una lotta senza paura. E, ovviamente, non si può non menzionare la qualità del cast di contorno, che include nomi come Sabrina Ferilli e Marco Giallini, perfetti nel dar vita a personaggi che, pur secondari, aggiungono colore e spessore alla trama.
In conclusione, La Città Proibita è un film che stupisce per la sua capacità di mescolare cultura popolare, cinema di genere e riflessioni contemporanee. Mainetti fa un passo avanti rispetto ai suoi precedenti lavori, portando sullo schermo una storia che è tanto un omaggio al cinema d’azione quanto un’accurata riflessione sulle sfide di un mondo globalizzato. Azione, sentimenti, e una forte critica sociale si intrecciano in un film che dimostra che le distanze tra Oriente e Occidente non sono così lontane come sembrano.
Federica Rizzo