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Cosa succederebbe se uscissimo tutti insieme dalla caverna volgendo lo sguardo verso la luce? Cosa si nasconde dietro il movimento quotidiano di una città? Cosa accadrebbe se uno dei prigionieri riuscisse a liberarsi dalle catene e fuggisse dalla caverna? E se quel prigioniero fosse Jay, un bambino di sette anni?
Due artisti si sono incontrati a Parigi, ne hanno discusso, hanno reinventato l’allegoria della caverna esposta da Platone nella Repubblica, hanno immaginato una risposta a queste domande e hanno donato alla storia dell’arte e del cinema 21 minuti di pura poesia della visione.
Questi due artisti sono Alice Rohrwacher e JR: una regista l’altro street artist che, a quattro anni dall’evocativo ed agreste corto di denuncia sulla scomparsa dei valori della campagna, lo scenografico e potentissimo Omelia Contadina, ambientato sull’altopiano dell’Alfina, tra Lazio e Umbria, tornano a ragionare insieme sulla società contemporanea, ridefinendo il tempo e lo spazio di una frenetica Parigi in Allegoria Cittadina.
C’è Jay (Naïm El Kaldaoui) che ha sette anni e ha la febbre e non può andare a scuola ma la sua mamma (Lyna Khoudry) deve portarlo con sé per un’audizione di danza importantissima. Il regista che sta preparando lo spettacolo a cui ambisce partecipare la mamma ballerina, è Léos Carax, che interpreta se stesso. Li vediamo dall’alto divincolarsi nella città. Jay è bellissimo come bellissimo è il caleidoscopio che si è costruito da solo per guardare il Mondo e le ombre in metaforiche caverne, da mille punti di vista differenti, da mille colori inattesi. Jay è fantasia, è evasione e stupore, è la capacità di analisi dell’irrazionale, è quello che manca al resto degli umani grandi: la forza di liberarsi, uscire dalla caverna, diventare parte integrante di una stupenda illusione ottica, tanto surreale quanto realistica. Defense d’afficher c’è scritto su un muro: monito e provocazione al contempo. Ma dietro quella scritta, cosa si nasconde?
Se in Omelia contadina c’era il funerale simbolico dell’agricoltura tradizionale con dei cartonati, segno distintivo del lavoro di JR, che raffiguravano dei contadini senza nome, in Allegoria Cittadina Jay diventa protagonista attivo, burattinaio e cartoon, di un gioco delle ombre. La creatività diventa gioco che invade e pervade le strade e fabbrica illusioni reali e surreali, capaci di viaggiare con le proprie gambe, come sanno fare i pensieri potenti che cambiano il Mondo.
JR e Alice Rohrwacher sono sapienti direttori d’orchestra della poetica delle immagini, sanno quanto esse possano creare illusioni, ne conoscono la forza evocativa e ne comprendo il loro potere. Le immagini, liberate dalle catene, possono diventare strumento di lotta ed evoluzione del pensiero. Pittura, cinema, architettura, musica e danza confluiscono all’interno del medesimo concetto, nella medesima intuizione. Un tripudio dove tutte le arti dialogano assieme con lo stesso intento.
Nel Novecento il mito della caverna è divenuto una metafora che simboleggia quanto i mass media influenzano e dominino l’opinione pubblica, interponendosi tra l’individuo e la notizia, manipolando quest’ultima secondo necessità. Letteratura, scultura, cinema ed in generale tutte le arti sono ricche di storie di uomini che, sfidando l’ostilità, si sono “liberati dalle catene” dell’opinione, arrivando a conoscere la verità per poi tornare per riferirla agli ex compagni di prigionia. JR e Alice sono oggi queste voci libere che ci tendono la mano, ambasciatori di una vita nuova dal sapore antico.
Alice Rohrwacher si è sempre distinta con i suoi cortometraggi, che spesso alterna ai film di maggiore durata: la capacità di sintesi le conferisce nitidezza di intenti e risultati notevolissimi. Con Le Pupille si è aggiudicata la candidatura agli Oscar nel 2023 e con Quattro strade, girato con una vecchia 16mm durante il lockdown del 2020, ha toccato corde profondissime tornando ai suoi amati temi bucolici con un inno fiabesco alla vicinanza, inseparabile dalla distanza. In Allegoria Cittadina regia, sceneggiatura e fotografia comprovano lo straordinario successo che la regista toscana sta ottenendo in questi anni, successo che forse, da noi in Italia, resta sottostimato. Ma, come si dice: nemo propheta in patria.
Negli straordinari 21 minuti di quest’opera, dopo ogni stacco di montaggio c’è un cambio di velocità e di movimento. Il risultato è eccezionale, soprattutto dal punto di vista visivo e conferma il talento di questa eccezionale cineasta che, anche quando si confronta con i tempi stretti, si impegna per offrire un’originale rivisitazione personale di opere mastodontiche e argomenti in cui l’uomo ritrova la propria sensibilità e la consapevolezza della perfezione dei comportamenti genuini e votati alla semplicità.
Ilaria Berlingeri