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Al suo settimo lungometraggio, Edoardo Leo decide non solo di abbandonare il genere sicuro e a lui più congeniale della commedia, ma di trasporre e rimaneggiare un materiale tutt’altro che semplice: l’Otello, una delle più celebri tragedie di William Shakespeare.
Un uomo, accecato da una folle gelosia, uccide sua moglie e poi si suicida. È allo stesso tempo la sinossi di una delle opere teatrali più famose nel mondo e triste cronaca dei nostri giorni.
Partendo da un fatto di cronaca, Non sono quello che sono ambienta le gesta dei noti personaggi shakespeariani nel torbido mondo della malavita: Otello (Javad Moraqi) è a capo di una rete di stampo mafioso che gestisce il traffico di stupefacenti sul litorale romano, Iago (Edoardo Leo) è il suo braccio destro, nonché suo esattore, e Desdemona (Ambrosia Caldarelli) la figlia del Boss e la donna di cui Otello è follemente innamorato.
Riuscendo a trasporre, attraverso un film di genere, i tratti così spaventosamente contemporanei di una drammaturgia che ha più di 400 anni, Edoardo Leo confeziona un’opera intelligente che parla di violenza, di razzismo, di femminicidio, di maschilismo e della lotta, senza tempo, per il Potere.
Buona la scelta degli attori e l’utilizzo del dialetto romano e napoletano; risultano, invece, un po’ stereotipati alcuni personaggi del contesto criminale in cui si muovono.
Non sono quello che sono è un’operazione sicuramente molto interessate, che riesce, da un lato, a mantenere una forte coerenza con l’opera di Shakespeare, dall’altro, ad avere una lettura autonoma, anche se meno empatica, dell’originale.
Va premiato sicuramente il coraggio di Leo nel voler cambiare registro e per aver scelto di avventurarsi nel mondo, affascinante ma complesso, dei classici.
Federica Rizzo