Vincitore per la migliore sceneggiatura alla 77esima edizione, sarà nei cinema con anteprime dal 18 ottobre e dal 30 ottobre in sala con I Wonder Pictures
Elizabeth Sparkle (Demi Moore), ex attrice di successo ora in declino, viene liquidata dal network televisivo per cui lavora in un programma di aerobica, perché ormai troppo agée. Si imbatte, però, nella promozione di una misteriosa sostanza che ha il potere di creare una nuova versione di noi stessi: più giovani e più belli. L’unica cosa da fare è dividersi il tempo: una settimana per sé, l’altra per la nuova versione migliorata. Un equilibrio perfetto, almeno sulla carta. Ecco, allora, che da Elizabeth ha origine la sua bellissima versione clonata, Sue (Margaret Qualley), pronta a riprendersi tutto ciò che è stato tolto alla matrice.
Con The Substance, Coralie Fargeat (Revenge) ci regala un body horror di forte impatto che mescola Cronenberg, Dorian Gray e La morte ti fa bella, sganciando una critica ferocissima agli standard di bellezza imposti alle donne e all’ossessione per la giovinezza a tutti i costi.
Fargeat ci sbatte in faccia lo sfruttamento del corpo femminile nei media, per cui la donna deve restare sempre giovane, sorridente e performante per piacere agli uomini e assicurare guadagni: a tal proposito, la regista francese indugia su riprese ravvicinate del corpo perfetto di Sue, scrutato morbosamente da una telecamera che ne attraversa ogni curva.
Ma in The Substance c’è anche la critica a una Hollywood spietata e indifferente, che prima accende le sue stelle e poi le calpesta con brutale noncuranza; alla corsa a punturine e a interventi sempre più invasivi che promettono corpi perfetti e costantemente giovani; a un mondo dell’intrattenimento, gestito esclusivamente da uomini, che impone standard di bellezza impossibile a cui le donne devono disperatamente uniformarsi.
Un film ibrido, estetizzante e ipercitazionista, che mescola i generi, ovvero l’alto e il basso, con abilità ammirevole: in cui il grottesco e la satira si fanno horror e persino splatter, come nell’esageratissimo ma pregnante finale.
Demi Moore, con autoironia, generosità e coraggio, ci offre una delle più potenti interpretazioni della sua carriera: il suo corpo, nudo, squarciato, ricucito e maltrattato, è letteralmente al centro della narrazione, oltre che scrutato con sguardo impietoso. Ma la Fargeat penetra anche nell’anima spezzata della sua protagonista, evidenziandone il senso di inadeguatezza, l’impotenza, il rancore, la rabbia e la disperazione.
Ottimi anche Margaret Qualley, votata ormai a ruoli inconsueti ma sempre interessantissimi, che la confermano una delle attrici più versatili della sua generazione, e Dennis Quaid, mai così laido e volgare, nel ruolo del capo weinsteiniano del network per cui lavorava Elizabeth. Un’opera così attuale, audace e scioccante che forse è già un cult.
Alessandra Broglia