Al cinema dal 19 giugno con Universal Pictures
Midwest, all’alba degli anni Sessanta. Un fotografo segue il club dei Vandals, una compagnia di motociclisti di Chicago guidata dal carismatico camionista Johnny (Tom Hardy). Tornerà anni dopo, per farsi raccontare da Kathy (Jodie Comer), che ha sposato lo spericolato Benny (Austin Butler), favorito di Johnny, la storia di come il gruppo ha perso la strada, sbandando nella droga e nella violenza. Nel corso di 10 anni, infatti, Kathy ha fatto del suo meglio per destreggiarsi tra il temperamento del marito, nel tentativo di convincerlo a cambiare strada, e la fedeltà che quest’ultimo deve a Johnny.
Tra intimismo e spettacolo, Jeff Nichols si muove con sicurezza in una tradizione cinematografica riconoscibile e ben codificata, partendo dal libro fotografico di Danny Lyon del 1967 e svelando gli aspetti più foschi della storia statunitense, tra la deriva violenta e lo spaesamento post-Vietnam.
È difficile, guardando The Bikeriders, non pensare a film cult come Il selvaggio o Easy Rider, ma anche a prodotti più recenti ed apprezzati dalla critica come la serie Sons of Anarchy.
In The Bikeriders ci sono l’on the road, il mito, la rottura con la società, la voglia di rivoluzione, gli antieroi ai margini e in crisi di identità, la perdita dell’innocenza e la dannazione, il triangolo e il conflitto amore/amicizia.
Quello di Nichols è l’omaggio appassionato a un cinema dimenticato, di cui vengono rielaborati gli archetipi, mettendo in scena un’epopea a tinte forti e piena di nostalgia.
Al centro, un gruppo di outsider figli della sottocultura, randagi su due ruote che hanno scelto di vivere le loro di regole e di non rispondere a quelle comuni, ribellandosi così a un sistema che li guarda dall’alto in basso.
Un cinema che procede lento, ma libero e coraggioso, illuminato dalle performance di ottimi attori come Austin Butler, Jodie Comer e Tom Hardy.
E così, alla rappresentazione romantica e idealizzata della strada, da sempre uno dei miti fondanti della cultura a stelle e strisce, Nichols unisce il racconto di un mito e di una generazione perduti. Lo fa attraverso l’accurato disegno di personaggi, di cui non ha paura di mostrare errori e bruttezze. Ma soprattutto mettendo in scena un viaggio nel tempo e in una cultura che ha il sapore irraggiungibile dell’utopia.
Maria Grande