Al cinema dal 30 maggio con Lucky Red
La giovane Eileen Dunlop (Thomasin McKenzie), che lavora in un riformatorio minorile come segretaria, deve affrontare quotidianamente una drammatica situazione domestica, con il padre alcolizzato, ex poliziotto, schiavo di manie di persecuzione.
A portare luce nel grigiore della sua vita, sarà l’arrivo di un’affascinante psicologa che prende servizio nell’istituto in cui lavora, Rebecca Saint John (Anne Hathaway).
William Oldroyd (Lady Macbeth) porta sullo schermo il romanzo omonimo di Ottessa Moshfegh, che firma anche lo script col marito Luke Goebel.
Il film mantiene, così, inalterato, visivamente e narrativamente, quel realismo crudo che caratterizza le opere della scrittrice, dipingendo efficacemente il ritratto di una giovane donna oppressa, alla ricerca di qualcosa o qualcuno che la faccia evadere dalla propria prigione.
Perché Eileen, sotto una coltre polverosa, in realtà brucia, covando desideri che concretizza solo con l’immaginazione. A tal proposito, pregnante è la scena che la vede seduta in disparte, in un vano del penitenziario minorile, mentre fantastica sessualmente su una guardia; o quella che in cui immagina di afferrare la pistola del padre e farsi saltare le cervella oppure di farle saltare a lui.
Poi però, con l’arrivo della seducente, spavalda e misteriosa Rebecca, il racconto devia lentamente verso il noir, con sviluppi spiazzanti ed inattesi.
Rebecca attira subito l’attenzione di Eileen: è l’unica che la “vede”, che le sorride, che le fa delle confidenze, che ha voglia di passare del tempo con lei. E’ in pratica lo stimolo esterno che Eileen cercava per uscire dalla sua condizione, un catalizzatore di tutti i suoi desideri repressi e delle sue speranze sepolte. E per questo l’attrazione si fa anche fisica, portando al contempo la protagonista a trasformarsi e ad evolversi a contatto con l’oggetto del suo desiderio.
Oldroyd preferisce, però, tenersi ai margini, optando per uno stile narrativo “trattenuto” e non virando mai completamente verso il noir tout court. E questo può essere visto come un pregio, ma anche come un limite, perché a conti fatti il film non “esplode”, restando come sospeso, imprigionato. Come se la sua potenza venisse smorzata, nonostante ogni parola e ogni sguardo paiano spingere verso la direzione opposta, ovvero verso un’audacia a tinte dark, che rimanda a Hitchcock, a Sirk, a De Palma e a Haynes.
In compenso, le due attrici protagoniste sono affiatate e perfette, specie Thomasin Mckenzie, che ci regala un’altra ottima prova dopo il sottovalutato Ultima notte a Soho.
Il film giusto per chi cerca atmosfera, suggestioni e fascino perverso.
Carla Curatoli