Vincitore del Bando Biennale College indetto dalla Biennale Teatro di Venezia 2018, è andato in scena il 16 e 17 marzo al Teatro Palladium di Roma e si prepara a una tournée nelle principali città italiane
Leonardo Manzan è uno degli autori e registi teatrali più talentuosi e provocatori del nostro tempo.
Vincitore per ben due volte della Biennale di Venezia, Manzan non ha paura di rompere gli schemi del teatro contemporaneo, di sfidare il pubblico in sala, di scagliarsi contro un mondo artistico segnato dalla banalità, dal finto perbenismo e dall’ipocrisia.
La riscrittura di Leonardo Manzan e Rocco Placidi della commedia di Rostand, Cyrano de Bergerac, mette al centro di un innovativo e spiazzante spettacolo-concerto il personaggio di Rossana (Paola Giannini), che rivela alla platea come ogni giorno riviva le vicende di cui i protagonisti sono ormai lontani fantasmi.
E’ lei, l’unica sopravvissuta, la narratrice di una storia che ha solo subito, vittima della finzione dei due uomini che l’hanno amata. In particolare di Cirano (Alessandro Bay Rossi), che ha messo nella bocca di un altro le parole che hanno rapito il suo cuore, ma che “ti amo” non è mai riuscito a dirglielo.
Dopo un duello lento e silenzioso tra Cirano e Cristiano (Giusto Cucchiarini), la donna, che li ha osservati immobile fino a quel momento, si avvicina e li atterra a bastonate. A testimoniare la morte ideale dei personaggi originari dell’opera di Rostand, per lasciare spazio ai nuovi che racconteranno la loro storia.
Rossana, quindi, introduce il personaggio di Cirano e invita la platea a una battaglia rap che possa mettere in difficoltà il guascone dai facili versi. Cirano, ovviamente, è pronto a entrare in campo e a raccogliere la sfida di chiunque desideri dire qualcosa sul suo naso.
Manzan sfrutta i versi di Rostand per veicolare la carica polemica di Cirano, quella aggressività verso gli avversari che lo rendono a tutti gli effetti l’antenato di un rapper.
Niente nasone però, Cirano si fa avanti sul palco con il volto nascosto nel cappuccio della felpa proprio come un rapper dei nostri giorni. La sua invettiva è rivolta ai critici sprezzanti, ai colleghi registi e drammaturghi, agli attori aspiranti e non, e a tutto il gran “centro commerciale del teatro italiano”.
Cirano sfida il pubblico ad una gara in versi che diventa una freestyle battle a suon di affronti. Ci si trova immersi, quindi, in un vortice dirompente, che non avevamo mai visto a teatro, con un attore che con rabbia e insolenza si sfoga sul suo pubblico.
Il Cirano di Manzan sforna versi livorosi contro il teatro e le sue dinamiche farsesche e corrotte, si affida ogni tanto a un scurrile turpiloquio infarcito di riferimenti ultrapop e citazioni della cultura di massa. Il pubblico in platea è intimidito e la maggior parte non asseconda la sua sfida; qualcuno, però, azzarda dei versi per tenere testa al rapper spadaccino. Il Cirano che si presenta sul palcoscenico è un uomo frustrato, che della propria diversità fisiognomica ha fatto un muro dietro al quale trincerarsi. Tanto abile con le parole quanto codardo dal punto di vista dei sentimenti; il suo motto è “Dispiacere mi piace, dell’odio mi diletto”, ma in realtà ha solo paura di una sconfitta.
A questo momento “forte”, segue poi il monologo rappato di Cristiano, personaggio “stupido ma bello”, che non sa parlar d’amore. Il suo è un brano molto diverso da quello di Cirano: divertente e orecchiabile, strizza l’occhio al raggaeton e fa ampio uso di auto-tune.
Poi è di nuovo la volta di Rossana, che si unisce a Cristiano sottolineando quanto Cirano non piaccia perché troppo polemico e intento solo a provocare. E’ lei che ci regala, però, anche il momento più alto ed intenso dello spettacolo. Salendo su un’alta scala e raccontando, nell’ultimo bellissimo monologo (stavolta non rappato), l’inganno orchestrato dai suoi due pretendenti, suggellato da una “minzione” in comune sul capo di lei. Paola Giannini ci regala una Rossana dolente, tormentata, sola con il proprio dolore. Cirano cercherà disperato di porre rimedio al proprio errore, chiedendo all’amata di ricominciare daccapo. Ma anziché il suo perdono, riceverà in cambio solo un naso posticcio.
La bravura degli interpreti è innegabile, così come l’efficacia dei brani originali e dell’intera parte musicale, eseguita dal vivo da Filippo Lilli. Perfetta anche la scenografia minimalista, costituita da un’unica impalcatura e animata da un sapiente gioco di luci.
Cirano deve morire è un lavoro originale e di grande destrezza teatrale, che da una parte si fa critica aperta, dall’altra intrattiene con intelligenza. Manzan si lancia contro l’intellettualismo che annoia e che trascina con sé il teatro stesso. Un teatro in decomposizione, chiuso in se stesso e privo di esperienze generative. Riflesso di un pubblico borghese e senza pensiero critico, per cui recarsi a teatro è solo affermazione di uno status.
Quello di Manzan, invece, è un teatro vivissimo e d’impatto, che fa riflettere attraverso la provocazione, che non si fa remore nel giocare con il pubblico, costringendolo a divenire protagonista attivo della rappresentazione.
Un teatro libero e che non ha certo paura di rischiare, analizzandosi in rapporto ai nostri tempi e mettondo perfino in discussione la sua stessa essenza.
Roberto Puntato