Al cinema dal 7 marzo con Universal Pictures
Torna Ethan Coen, stavolta senza il fratello Joel e con sua moglie Tricia Cooke come co-sceneggiatrice: Drive-away dolls è una commedia on the road che è un vero e proprio inno alla promiscuità omosessuale.
Divertente e ricco di tensione, il film è popolato da quei personaggi irresistibilmente bizzarri che da sempre caratterizzano le opere dei Coen, ma stavolta con una forte impronta queer che fa decisamente la differenza.
Protagoniste sono Margaret Qualley, nel ruolo di Jamie, uno spirito libero in crisi per l’ennesima rottura con la fidanzata poliziotta (che ha ripetutamente tradito), e Geraldine Viswanathan nei panni della sua timida e morigerata amica Marian.
Entrambe alla ricerca di un nuovo inizio, decidono di intraprendere un viaggio a Tallahassee (Florida), dove Marian vuole recarsi per visitare una zia. Le cose si complicano, però, quando entrano in possesso di una valigetta ricercata da un gruppo di inetti criminali.
Disinvolto e sboccato, Drive-away dolls è una pellicola che fa incontrare l’orgoglio e l’umorismo queer con lo stile surreale e grottesco dei fratelli Coen.
Ne deriva un’opera originale, lontana dalla finezza di scrittura dei capolavori dei Coen, ma con al centro uno stravagante, sfacciato e carismatico personaggio femminile: la Jamie di un’ottima Margaret Qualley.
Altrettanto divertente è la contrapposizione fra la tendenza alla monogamia di Marian (un’altrettanto notevole Viswanathan) e quella alla promiscuità di Jamie, che colorerà la loro strampalata “love story”.
Drive-away dolls è un frizzante e folle divertissement, con sferzate di umorismo nero nella tradizione di Raising Arizona, ma anche con colorature pulp da midnight movie.
Non tutto funziona, specie a livello narrativo, in quanto le molte anime del film (noir, commedia, road movie, exploitation, ecc.) non sempre riescono ad amalgamarsi. La sensazione è di assistere a un campionario di bizzarrie, illuminato da alcune belle intuizioni e gustosi camei, che però alla lunga appare forzato e fine a se stesso.
Un B-movie che fa il verso a Russ Meyer (specie al cult Faster Pussycat Kill! Kill!) e a quella libertà di cui un cui certo cinema americano degli anni ‘60 e ‘70 andava orgogliosamente fiero.
Maria Grande