Vincitore della Coppa Volpi per il migliore attore a Venezia 80, arriva al cinema dal 7 marzo con Academy Two
E’ un autore curioso Michel Franco. Finora ci aveva abituato a un cinema freddo, scomodo e parossistico (si pensi a opere come Nuevo Orden o Sundown), ma con Memory scopriamo, con una certa sorpresa, che è capace anche di uno più intimo, delicato ed emozionante.
Non c’è la violenza che tutto annichilisce, ma una love story tra una donna e un uomo che sono costretti a fare i conti con la loro memoria. Lei, Sylvia, ha un passato da dimenticare; lui, Saul, ricorda solo gli eventi passati, ma ha la memoria a breve termine compromessa.
Sylvia, un’assistente sociale con una figlia adolescente, segnata da un passato di abusi e alcolismo, si è costruita un “quotidianità sicura” che la tenga lontana dai ricordi traumatici. Una sera, durante una rimpatriata tra ex compagni di scuola, si imbatte in un uomo che comincia a seguirla in silenzio e che rimarrà tutta la notte sotto casa sua. L’indomani scoprirà che il misterioso Saul è affetto da demenza, ma allo stesso tempo si convincerà che è legato alle violenze che era costretta a subire ai tempi della scuola. Resasi conto dell’errore, Sylvia comincerà, su richiesta della famiglia di Saul, a occuparsi di lui. Tra i due si instaurerà, così, un legame sempre più forte.
Franco ci regala un’opera intensa e straziante su due solitudini che si riconoscono, ricompongono le loro memorie spezzate e cercano di liberarsi delle sovrastrutture.
Le rispettive ingombranti famiglie, che preferiscono ignorarne il dolore simulando un ottuso istinto di protezione, svolgono un ruolo importante nell’ostruire l’emancipazione emozionale dei due protagonisti, che grazie al loro incontro sembrano, invece, risvegliarsi da un torpore autoindotto durato troppo a lungo.
Franco è bravo nel mettere in scena i sentimenti che sbocciano fra due adulti superstiti della vita che diventano simili ad adolescenti in libertà vigilata, ritrovando una giocosità, un’incoscienza e una libertà del tutto inattese.
Lo stile del film è austero ed essenziale, con molte inquadrature fisse; nello stile di Franco, la narrazione non è scevra di ambiguità (vedasi il terribile segreto famigliare di Sylvia che verrà fuori in un acceso scontro con sua madre), ma stupisce per un’umanità e un romanticismo finora estranei al cinema del regista messicano.
Ovviamente, il talento di Jessica Chastain e di Peter Sarsgaard, premiato a Venezia, rende i loro protagonisti teneri, credibili e pulsanti. Il risultato finale è un melodramma che tocca il cuore.
Paola Canali