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Samuel Beckett (Gabriel Byrne), uno degli scrittori più influenti del XX secolo nonché padre del Teatro dell’Assurdo, ha appena vinto il Premio Nobel per la letteratura, ma non sembra affatto contento. Mentre sale sul palco per ritirare l’assegno del prestigioso riconoscimento, incontra il suo doppio. Insieme discutono su chi meriterebbe davvero i soldi del premio, introducendo al contempo una serie di flashback relativi alla vita dello scrittore e alle persone che l’hanno segnata. Dalla madre alla moglie (Sandrine Bonnaire), dall’amante traduttrice all’amico ebreo perduto, dall’incontro con Joyce e sua figlia alla Resistenza in Francia, dal successo al “finale di partita”.
Il regista James Marsh (La teoria del tutto) è il primo ad azzardare un biopic su Beckett: impresa ardita e intrigante, ma soprattutto lontana da quello che verrebbe facile aspettarsi.
Non è, infatti, un film “assurdo” o visionario Prima danza, poi pensa – Scoprendo Beckett, bensì un’opera sobria e misurata, che ripercorre, attraverso un lungo flusso di coscienza, i capitoli più importanti della vita artistica e sentimentale dell’autore.
Ricorrendo al troppo abusato espediente onirico, Beckett incontra il suo doppio, ovvero la sua coscienza, nella soffitta di un teatro fantasma, mandando così in rassegna i suoi più importanti incontri e i suoi molti intrighi amorosi.
Si passa, dunque, dall’infanzia familiare ai primi passi nel mondo letterario, dalla guerra alla gloria, dall’idillio con Joyce alle tribolazioni artistiche e personali (il senso di colpa è decisamente il leitmotiv della pellicola).
Il film procede in modo piuttosto omogeneo e convenzionale, senza prendersi troppi rischi e ripercorrendo gli stilemi di un genere ben consolidato. Ma soprattutto poggiandosi sull’ottima prova di Gabriel Byrne, attore di razza, che lavora bene sulla mimica e i silenzi, calandosi nel mondo interiore di Beckett e dando un certo spessore al personaggio.
E’ lui il vero motivo per guardare questo film interessante ma non memorabile che, come La teoria del tutto, preme troppo sul pedale del sentimentalismo, non riuscendo a cogliere la complessità, artistica ed umana, del suo protagonista. Un film su Beckett, infatti, avrebbe meritato una sceneggiatura meno cauta, più coraggiosa e mordace, capace di prendersi i rischi della sua letteratura e avvicinarsi così ai suoi recessi più segreti.
Paola Canali