Vincitore del Premio Corbucci, assegnato nell’ambito dell’ultima edizione di Alice nella Città, arriva al cinema dall’11 maggio con Nori Film e Fice
Port Richmond, Philadelphia. Il 30enne Frankie (Hopper Jack Penn) è un piccolo criminale dedito allo spaccio di droga, che provvede alla sorella alcolizzata Patty (Dylan Penn) e al figlio adolescente di lei. La speranza di riscattarsi da un futuro già segnato gli si palesa quando conosce Jane (Zoë Bleu), una ragazza sorda di buona famiglia di cui si innamora. Ma inevitabili ostacoli socio-familiari si metteranno sul loro cammino.
Famiglie problematiche, questioni sociali e disabilità fisica sono al centro di Signs of love, dramma metropolitano di Clarence Fuller con protagonista un “ragazzo perduto” che trova nell’amore il motivo per dare una svolta alla sua vita.
La materia narrativa, ricca di temi forti e certamente non nuovi al grande e piccolo schermo, viene, però, trattata in modo non banale, grazie a un disegno realistico dei personaggi e dell’ambiente descritti.
Pur se a lungo andare alcuni snodi narrativi risultano piuttosto prevedibili, il film appassiona grazie al ritratto incisivo di un’umanità alla deriva ma in cerca di redenzione e di una gioventù cresciuta troppo in fretta ma bisognosa d’amore.
Il merito è anche di attori in gamba e dalla facce giuste, a cominciare dai figli d’arte Hopper Jack Penn e Zoë Bleu: il primo regge sulle spalle l’intero film con una prova decisamente importante, la seconda illumina con la bellezza dei suoi occhi un personaggio di resiliente dolcezza.
Non sono da meno Wass Stevens nel ruolo del padre tossicodipendente di Frankie, Rosanna Arquette nei panni di una cameriera disillusa ma dal cuore buono e Dylan Penn in quelli della sorella-parassita del protagonista, responsabile di aver segnato per sempre la vita del fratello e del figlio.
Cinema indipendente, che strizza l’occhio per temi e stile a quello degli anni ‘70, ma che poi sceglie soluzioni, sia narrative che visive, più standardizzate. Eppure si tratta di un’opera toccante e non chiusa alla speranza, a dispetto del desolante quadro sociale che mette in scena. Un film a cui si ripensa una volta usciti dalla sala. Non è poco.
Alberto Leali