Al cinema dal 23 marzo con Universal Pictures
1980. Paul (Banks Repeta) è un irrequieto dodicenne che frequenta una scuola pubblica del Queens. Ha un’immaginazione vivida, ama il disegno e sogna di diventare un artista, ma la sua indole ribelle indispone i suoi insegnanti e i suoi genitori, il severo padre Irving (Mark Strong) e l’apprensiva madre Esther (Anne Hathaway). L’unico che riesce ad instaurare un dialogo con lui è il nonno (Anthony Hopkins), immigrato da giovane negli Stati Uniti e con alle spalle una storia famigliare di persecuzioni e fughe, che cerca di tramandare al nipote. A scuola, Paul stringe amicizia con un ragazzo di colore, Johnatan (Jaylin Webb), ripetente e con una situazione famigliare problematica. Quando i genitori di Paul decidono di spedirlo in una elitaria scuola privata che lo rimetta in riga, il ragazzo si mette di nuovo nei guai, ma stavolta a pagare non sarà lui.
Il film apparentemente più “piccolo” di James Gray si rivela, in realtà, uno dei suoi più personali e riusciti.
Armageddon Time racconta un’America ipocrita, subdola e meschina attraverso il ritratto di una complicata famiglia ebrea-ucraina pieno di echi autobiografici.
Ma soprattutto attraverso un coming of age venato di malinconia che mai si piega al patetismo e che riflette su temi importanti come il senso di non appartenenza, le ribellioni adolescenziali e i dolori del diventare grandi, il classismo e il razzismo, l’amicizia tradita, il decadimento dei sogni e in particolare di quello americano.
Ottimo e ricchissimo il cast, classico lo stile narrativo, ma amarissimi i toni che fanno emergere lo sguardo pessimista di Gray sull’America di ieri e di oggi.
Gli anni ‘80 di Armageddon Time non mostrano infatti la colorata cultura pop, ma una società spietata, le cui giovani leve si adagiano sul privilegio dell’etnia e della ricchezza economica, lasciando indietro a pagare chi ha meno colpe e una vita più difficile.
L’afflato sorprendentemente politico, con i prodromi della presidenza Reagan e le prime tracce di Trump, caratterizza, quindi, questo lucidissimo ritratto degli States avvinghiati ormai nel nido di quel capitalismo cannibale che tutto divora.
Un dramma morale disperato e dolorosissimo che illustra abilmente quell’etica conservatrice che ha permesso a chi è relativamente privilegiato di distogliere lo sguardo dalle ingiustizie più clamorose.
Ilaria Berlingeri