Al cinema dal 16 febbraio con Academy Two
Il religiosissimo Saeed Hanaei (Mehdi Bajestani), soprannominato il Ragno, è un padre di famiglia apparentemente dedito solo a casa e lavoro. Segretamente, però, si aggira di notte per le strade di Mashad e fa piazza pulita di prostitute, strangolandole con il loro stesso chador e abbandonando i loro corpi nei terreni circostanti. La polizia locale si interessa a malapena al caso, fino a quando da Tehran non arriva la volitiva giornalista Rahimi (Zar Emir-Ebrahimi, premiata a Cannes come Migliore Attrice), che si finge una prostituta per dare la caccia al killer.
Attraverso il genere thriller, Holy Spider svela le contraddizioni di una cultura estremista e misogina, supportata da una società che giudica e condanna in nome del suo dio.
Nessuna caccia al killer però: il film decide di rivelare subito al pubblico il suo mostro, perché ciò che gli importa non è tanto l’indagine poliziesca, quanto le dinamiche che accompagnano da una parte l’omicida, dall’altra la giornalista intenzionata a fermarlo.
Ispirandosi a un fatto realmente accaduto e usando come modelli il cinema di Fincher e di Demme, il regista Ali Abbasi (Border) tratta temi spinosi come femminicidio, maschilismo, pregiudizio, fanatismo religioso, immergendoci nelle atmosfere malsane di una città spettrale e soprattutto nella mente di un serial killer sui generis.
Il ritratto lucido, sfaccettato e mai manicheo di Saeed, che si erge a castigatore del malcostume e redentore dei peccati dei suoi simili, si rivela, infatti, potentissimo e sconvolgente. Ancor più perché riflette una mentalità, che al di là del fondamentalismo religioso, trova le proprie radici in una cultura per cui la donna e la sua impurità possono portare alla perdizione e all’allontanamento da Dio.
Non a caso, come accaduto anche nella vicenda reale a cui il film si ispira, una parte dell’opinione pubblica iraniana si schiera al fianco del killer, vedendolo come una sorta di eroe che riporta giustizia in ciò che era sfuggito all’ordine morale.
Altrettanto interessante è che il film dà spazio anche alle vittime e alle loro personalità, facendole così uscire dall’anonimato e dalla disumanizzazione a cui la società le costringe.
I bravissimi interpreti, uno stile sporco che sembra assorbire il marciume delle strade e del suo protagonista e una curiosa miscela di violenza e onirismo rendono Holy Spider un film efficace e avvincente. Ma soprattutto un’opera che invita a riflettere sulla necessità di cambiamento della mentalità profonda di un Paese, quella che è capace di generare un’umanità mostruosa e desolante.
Paola Canali