Dal 28 ottobre 2022 al 12 febbraio 2023
Le Gallerie Nazionali di Arte Antica presentano da domani, 28 ottobre 2022 al 12 febbraio 2023 a Palazzo Barberini la mostra Pier Paolo Pasolini. TUTTO È SANTO – Il corpo veggente, a cura di Michele Di Monte, realizzata all’interno del progetto espositivo Pier Paolo Pasolini. TUTTO È SANTO coordinato e condiviso dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica con l’Azienda Speciale Palaexpo di Roma e il MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, in occasione del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini(Bologna, 5 marzo 1922 – Roma, 2 novembre 1975).
La scelta del titolo, Pier Paolo Pasolini. TUTTO È SANTO, si ispira alla frase pronunciata dal saggio Chirone nel film Medea (1969), che evoca la misteriosa sacralità del mondo del sottoproletariato, arcaico e religioso, in netto conflitto con gli eroi di un mondo razionale, laico, borghese.
Concepito e curato collettivamente da Michele Di Monte, Giulia Ferracci, Giuseppe Garrera, Flaminia Gennari Santori, Hou Hanru, Cesare Pietroiusti,Bartolomeo Pietromarchi, Clara Tosi Pamphili, il progetto espositivo intreccia discipline, media, opere originali e documenti di archivio secondo tre direttrici autonome, specifiche per ogni sede, ma concepite per potersi integrare allo scopo di sollecitare riflessioni inedite sulla produzione pasoliniana, sull’influenza culturale che ha esercitato e ancora esercita sullo sguardo di chi la osserva dal XXI secolo.
La mostra delle Gallerie Nazionali di Arte Antica esplora il ruolo determinante della tradizione artistica nel cinema e nell’immaginario visivo pasoliniani, dai Primitivi al Barocco, dall’arcaismo ieratico dei pittori giotteschi al realismo sovversivo di Caravaggio, e il tema del sacro, che, come ricorda il titolo dell’intera rassegna, rappresenta il motivo di fondo di questo percorso.
Percorso che si sviluppa come una sorta di “montaggio” visuale, tra dipinti, sculture, fotografie e libri (per un totale di circa 140 pezzi) e che illustra il potere di sopravvivenza delle immagini: trasfigurate dall’obiettivo poetico di Pasolini che ne esalta la carica espressiva ed emotiva, e testimoni del mistero sacro e insieme mondano del nostro rapporto con la realtà e con la storia.
La mostra è suddivisa in sei sezioni, intitolate alle figure del corpo, altro tema trasversale del progetto espositivo che accomuna i tre musei coinvolti.
Qui il concetto chiave è proprio quello di “figura”, che Pasolini ritrovava negli scritti del filologo Erich Auerbach, intesa come una prefigurazione del presente nel passato e un ritorno del passato nel presente.
In quest’ottica la mostra intende mettere a fuoco non solo il modo in cui lo scrittore e regista ha deliberatamente attinto a una certa tradizione figurativa, ma anche le forme in cui alcune immagini riemergono nella sua opera, in forza della loro carica espressiva e della loro valenza arcaica, a dispetto della distanza dei contesti storico-culturali.
La sopravvivenza di un millenario immaginario collettivo può costituire essa stessa una metafora della travagliata ricerca pasoliniana di una primitività ancora incorrotta, pervasa da un senso di sacralità pre-culturale e pre-istituzionale.
La mostra si apre con un Prologo. Il corpo virtuale delle immagini, in cui viene rievocato il precoce contatto di Pasolini con la storia dell’arte e il mondo delle figure, durante il corso all’Università di Bologna tenuto da Roberto Longhi nel 1940-1941 e dedicato alla pittura di Masolino e Masaccio. Questo contatto, tuttavia, avviene soprattutto attraverso la suggestione delle immagini riprodotte e proiettate, in un montaggio che per il giovane studente ha già un carattere chiaramente cinematografico.
In mostra, le immagini di Masaccio viste a suo tempo da Pasolini, foto e libri che documentano la durevole impressione esercitata da queste prime esperienze.
Si prosegue poi con la prima sezione: Figura I. Il corpo epifanico, che affronta il tema della “potenza rivelatrice del corpo nudo”, come lo stesso Pasolini l’ha definita in Teorema. La sua ispirazione attinge alla pittura dei manieristi fiorentini, a Pontormo, in particolare, come nei famosi tableaux vivants de La ricotta, dove, non a caso, il regista ha con sé sul set, come guida, il libro di Giuliano Briganti, La maniera italiana (1961).
Altro punto di riferimento e termine di confronto visivo per l’elaborazione di questa dimensione è la pittura di Caravaggio e dei caravaggeschi, in specie per la scelta di figure e modelli rappresentati con un realismo esplicito, diretto e spesso provocante e irriverente.
Sono qui esposti il San Giovannino di Caravaggio della Galleria Corsini, due San Giovanni Battista di Valentin de Boulogne, uno proveniente dalla Chiesa di Santa Maria in Via di Camerino e uno appartenente alla collezione del museo, e la tela Cristo mostra la feritadello Spadarino dal Perth Museum and Art Gallery. I dipinti sono accompagnati, come in tutte le sezioni della mostra, da libri e foto che testimoniano assonanze, rimandi e suggestioni.
La seconda sezione: Figura II. Il corpo dello scandalo concentra invece l’attenzione sul motivo del crocifisso. L’immagine della croce riveste in effetti un ruolo ricorrente nella produzione del regista, dall’omaggio esplicito e controverso de La ricotta fino all’immaginario esotico del Fiore delle Mille e una notte, e assume valenze molteplici: religiose, simboliche, mitiche, antropologiche, non senza allusioni persino autobiografiche, che ne fanno una figura totemica universale.
Il simbolismo della croce, infatti, dà anche forma ad alcuni esperimenti lirici di Pasolini, come nelle poesie “in forma di croce”, che si richiamano alla tradizione antica e medievale dei cosiddetti carminata figurata, che è di nuovo un esempio di quella contaminazione stilistica ed epocale, visiva e linguistica, perseguita dallo scrittore.
In mostra le Scene della Passione di Giovanni Baronzio, e la Pietà e santi di Maarten van Heemskerck, tutte provenienti dalla collezione del museo, accanto al Cristo Crocifisso tra due ladroni di Giovan Battista Piazzetta dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia e alla Pietà con san Paolo, san Giuseppe e le pie donne di Girolamo Romanino, in prestito dal Museo Diocesano di Brescia.
La terza sezione: Figura III. Il corpo del cordoglio è dedicata alle immagini della rappresentazione del lutto e dei suoi rituali, della sua espressione e manifestazione fisica e corporea. L’icona simbolica centrale è quella della mater dolorosa della tradizione artistica europea e mediterranea, dall’Alto Medioevo al Barocco, così come l’immagine della Pietà. Qui l’ispirazione della tradizione artistica si riattualizza nei materiali visivi delle coeve ricerche antropologiche, come quelle di Ernesto De Martino, cui Pasolini guarda con attenzione, e che documentano, attraverso le foto di Franco Pinna, la sopravvivenza di un mondo ancestrale, ormai quasi “sommerso”.
Tre le opere della collezione del museo in mostra: la Maria Addolorata di Jean Changenet e le Pietà del Baciccio e di Massimo Stanzione.
La quarta sezione: Figura IV. Il corpo popolare, affronta la dimensione della “corporeità popolare”, nelle sue provocatorie implicazioni antropologiche e sociali, ideologiche, economiche e ovviamente politiche. Di nuovo, gli accenti sublimi e tragici della rappresentazione pittorica dell’emarginazione e della povertà precorrono gli interessi cinematografici di Pasolini, in particolare nell’ambito del realismo seicentesco di ispirazione caravaggesca.
Anche in questo caso, alcune anticipazioni e coincidenze sono sorprendenti e significative, tanto più se involontarie, come quella tra i famosi Mangiatori di ricotta di Vincenzo Campi, in prestito dal museo di Lione, e alcune sequenze del film quasi omonimo, La Ricotta. Accanto a questa, quattro opere appartenenti alla collezione del museo – la Vanitas di Angelo Caroselli, il Mendicante, di un pittore caravaggesco, I maccaronari di Micco Spadaro, la Contadina con canestro di Antonio Amorosi – accompagnate dalla Lavandaia di Giacomo Ceruti, in prestito dalla Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia.
La mostra si conclude con un Epilogo, Il corpo soggetto, che si confronta con la complessa problematica della rappresentazione visiva come forma di potere, e delle sue implicazioni ideologiche ed etiche, in quanto decide delle forme e delle condizioni in cui un soggetto, una persona, può diventare “figura”, oggetto di rappresentazione.
Non sorprende che pure questa tematica attraversi l’opera di Pasolini, e si concentri nei suoi interessi per il teatro spagnolo del Seicento e per la pittura di Velázquez, in particolare, anche attraverso la lettura del celebre saggio di Foucault in Le parole e le cose (1966). I motivi tipicamente barocchi eppure modernissimi della verità della finzione, della specularità e della maschera, dell’illusione e del desengaño, sottendono però una tentazione narcisistica, che riappare costantemente nella riflessione pasoliniana, fino a diventare critica dell’autorappresentazione nelle sue ultime immagini.
Il nano del duca di Créqui di François Duquesnoy e il Narciso, attribuito a Caravaggio, entrambi della collezione del museo, chiudono il percorso della mostra.