In occasione della Festa della Liberazione, ritorna in sala il 24, 25 e 26 aprile e distribuito da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection
Celeberrimo inno della Resistenza italiana, Bella Ciao è un brano che tutti conoscono, ma dalle origini ancora incerte. Il bel documentario di Giulia Giapponesi, presentato in anteprima al Bif&st 2022 e al Bergamo Film Meeting e passato sia in sala che su Rai Tre, decide di raccontarne la storia, approfondendo le motivazioni che hanno portato alla sua adozione.
Una vicenda affascinante e misteriosa quella di Bella Ciao, da sempre uno dei canti popolari italiani più famosi anche fuori dall’Italia. Per di più, nella storia della musica e del canto, sono davvero pochi i brani nati in un contesto popolare ad avere avuto una diffusione così ampia e partecipata.
Le sue parole evocano la libertà, la lotta contro le dittature e l’opposizione agli estremismi, e per questa ragione è considerata la canzone simbolo della Resistenza. Il paradosso è però che, con ogni probabilità, il canto fu scarsamente utilizzato nel periodo della dittatura nazifascista e finì per identificare le idee dei partigiani solo a guerra finita.
Alcuni storici della canzone italiana hanno identificato nel testo e nella musica influenze dei canti di lavoro delle mondine, altri la fanno risalire al Cinquecento francese, altri ancora vedono nelle sue melodie addirittura delle influenze Yiddish. Fior di tomba, un canto popolare del nord Italia, sembrerebbe secondo molti essere il canto precursore della versione che conosciamo, con alcune varianti tratte da altri canti popolari.
Se, però, è quasi praticamente certo che Bella ciao non era particolarmente diffuso negli ambienti partigiani della Seconda guerra mondiale, perché allora è stata identificata con il canto della Resistenza?
La scelta di Bella ciao come canto partigiano nasce dalla volontà di trovare un testo che avesse valori universali di libertà e opposizione alle dittature e alla guerra, senza riferimenti politici o religiosi. In più, si tratta di un brano che ha la capacità di essere imparato rapidamente e che, facendosi portavoce di valori universali, si presta ad essere utilizzato nei più differenti contesti.
Giulia Giapponesi ci espone, tramite un’analisi attenta e meticolosa, tutte le interessanti ricostruzioni e diatribe in merito alle origini e agli usi della melodia. Si serve, così, delle testimonianze più varie, da Moni Ovadia a Vinicio Capossella ai Modena City Ramblers, senza dimenticare i musicologi e i testimoni di quell’epoca. E sono soprattutto le donne al centro dell’indagine della regista, non solo quelle presenti all’epoca, ma anche le nostre contemporanee che per quella canzone o con quella canzone hanno lottato.
Perché la forza di un canto come Bella ciao è la sua capacità di parlare al cuore e alla testa di tutti, adattandosi al sentire delle culture più diverse. Un inno universale alla libertà, in ogni sua forma, che attraversa la storia e non conosce confini.
Alessandra Broglia